di Myriam Bergamaschi
Il Comune di Milano – Commissione Pari opportunità e Diritti Civili – in collaborazione la Consulta milanese per la laicità delle istituzioni ha promosso un incontro e un confronto tra studiosi, medici e operatori sulla legge relativa al biotestamento. La legge approvata nel dicembre 2017 (n. 219) disciplina il consenso informato e le Disposizioni anticipate di trattamento (sigla: D.A.T.). Tali Disposizioni esprimono la volontà di una persona di ricevere o meno terapie sanitarie nel caso in cui non sia più in grado di prendere decisioni o non le possa comunicare chiaramente per una sopravvenuta incapacità.
Prendo a riferimento questo evento, che ho molto apprezzato per la serietà e la competenza delle persone intervenute, per raccontare la mia sorpresa. Sono tra coloro che hanno compilato i moduli previsti dalla legge e consegnati all’ufficio dedicato del Comune di Milano. Prima di farlo mi sono informata, ho superato le perplessità che avevo e le difficoltà incontrate nel rispondere alle domande previste chiedendo spiegazioni ad amiche amici medici.
E’ invece stata molto facile la consegna al protocollo del Comune; sono andata accompagnata dal fiduciario, ma gli impiegati hanno detto che non era necessario e hanno assolto il tutto con competenza ed efficienza. Dando il consenso informato pensavo di non dovermi preoccupare di altro, invece non è così. Ho scoperto nel corso del dibattito sopra citato i limiti della legge per la piena attuazione della volontà dell’individuo espressa nel D.A.T. Secondo alcuni esperti i punti deboli gravitano attorno al quesito “come dare attuazione alla volontà che la persona ha espresso” di fronte a obiezioni e ostilità dei medici. L’informazione sullo stato di salute e sulle aspettative di vita che la persona chiede nel Consenso informato deve essere data dai medici secondo criteri di ragionevolezza che possono esserci solo se il medico ha conoscenza del paziente. Da qui le obiezioni sollevate dai medici rispetto all’applicabilità della legge.
Le obiezioni sollevate dai medici rispetto all’applicabilità della legge muovono da questa considerazione: solo il medico di base conosce veramente il paziente. E’ pertanto essenziale che lui sia coinvolto nella decisione di rispettare le volontà del paziente. A me è sembrato che questo debba essere il criterio determinante.