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Per le donne dell’Italia in crisi, una crisi in più

Per le donne dell’Italia in crisi, una crisi in più

Donne premiate, diventate cavaliere o commendatore (non declinabili al femminile, data la scarsità di assegnazioni al femminile) e ciò nonostante il grido dall’allarme è univoco e universale: le donne usciranno molto indebolite dalla pandemia covid. Pubblicazione di dati, denunce di donne e uomini della politica e dell’economia, appelli e raccolta firme. La sentenza è quasi univoca, sarà una retrocessione di diritti per le donne italiane. Non è una questione di salute per fortuna, ma di reddito, di disoccupazione, di carichi familiari, di lavoro di cura e di ruolo, di pari opportunità, in questa società dove si fa ancora molta fatica, o forse non la si fa nemmeno, a pensare a noi in termini di parità sostanziale e non formale e di suddivisione dei ruoli.

Il lavoro: sono in maggioranza i settori produttivi o dei servizi dove è alta la presenza di manodopera femminile, che usciranno dalla crisi pandemica molto danneggiati economicamente o ridimensionati in termini di bilancio e quindi di occupazione. Si tratta delle mansioni legate alle vendite, alle pubbliche relazioni, all’organizzazione di eventi, al turismo, ai servizi alla persona, alla cura della persona, dove il tasso di occupazione femminile è alto. Ed è proprio rispetto ad un settore che in questi mesi è stato fondamentale per salvarci la vita, quello infermieristico, che valuteremo la coerenza tra la celebrazione degli eroismi e il concreto riconoscimento professionale: in questo ambito le donne sono la maggioranza e questo settore è il peggio pagato di tutta Europa e caratterizzato da forte precarizzazione.

I servizi: la chiusura dei nidi, degli asili e delle scuole mette in grosse difficoltà le lavoratrici che se non possono lavorare in smart working, non sanno come far accudire i figli mentre lavorano. Il problema riguarda anche i padri, ma sono le madri che si stanno dimettendo in maggioranza, perché non ce la fanno più, perché rispetto al padre guadagnano meno e hanno meno possibilità di “fare carriera” e quindi sono più “sacrificabili”. Quello delle donne resta nei fatti e per le molteplici ragioni che stanno alla base dell’assenza di parità sostanziale, il reddito secondario di una famiglia e anche se i legislatori correggeranno i recenti svarioni del “family act”… resta “buona la prima” nel senso che si svela la cultura del paese anche se ci alte percentuali di donne capofamiglia.

l titolo di studio: anche in questo caso pesa la scelta scolastica delle donne. Abbandonano di più il lavoro quelle che hanno una scolarità bassa e che quindi svolgono lavori che non possono essere svolti in remoto, ma anche tra le laureate, che sono ormai la maggioranza, ce ne sono troppe con indirizzi lontani dalle professioni che oggi creano lavoro e quindi posti di lavoro. La promozione della formazione STEM (scienza, tecnologia, matematica) per le ragazze ha fatto passi avanti, ma non abbastanza e di certo la crisi economica non aiuterà il prolungamento degli studi delle donne.

La cultura: non quella delle donne, ma quella della società che si dimentica delle eccellenze femminili quando deve costituire “tavoli” o “task force” o “cabine di regia”, che non ha ancora introiettato la maternità come un valore collettivo da gestire con misure strutturali, che non si limitino a consentire alle donne di “piazzare i figli da qualche parte mentre lavorano”, ma per fare proprio il valore dell’educazione e della crescita di un bambino che deve coinvolgere i genitori, insieme ad un sistema educativo adeguato. Una pagina nera della cultura di questa società verso le donne, è stata quella delle morti per femminicidio durante l’isolamento da pandemia: il Governo ha dovuto stanziare risorse straordinarie per tenere aperte le case rifugio per le donne maltrattate e i loro bambini e sostenere la rete antiviolenza perché la convivenza forzata, si immaginava , avrebbe fatto aumentare la violenza. Anche sulle interruzioni di gravidanza si è dovuto rammentare alle istituzioni la necessità di garantire questo diritto che già viene pregiudicato dall’eccessiva presenza di “obiettori di coscienza”. Le donne si sono mobilitate e sono state ascoltate su questi temi, ma non è così per il più generale e pervasivo pericolo che corrono le donne rispetto alla loro autonomia economica e lavorativa che poi significa libertà e autodeterminazione.

Tutto ciò mentre in Europa la crisi economica è di fatto gestita da 3 donne: Christine Lagarde, Ursula von der Leyen e Angela Merkel. Vengono da Germania e Francia e sembrano la prova concreta di quanto in questi anni il femminismo ha spesso affermato circa le maggiori capacità relazionali delle donne, tesi supportata anche da studi specifici effettuati in tema di contenuti delle mansioni professionali e organizzazione del lavoro. Questo esempio di eccellenza femminile e di risultati concreti potrebbe aprire la porta, in Italia, alla modifica del concetto di “buon padre di famiglia” ancora in uso nel Codice Civile italiano per definire un’azione condotta con diligenza, buon senso e serietà. Perché il linguaggio forgia il pensiero e viceversa.

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