La vecchiaia è il termine con cui si designa il momento terminale di un organismo vivente umano. L’accrescimento dell’organismo avviene mediante un processo continuo a lungo termine ed è del tutto impercettibile agli individui che lo subiscono. Può essere separato in periodi solo virtualmente mediante un’operazione mentale di astrazione arbitraria. Ogni partizione è però poco significativa se è collegata alla percezione della vita del singolo individuo che appare come un fenomeno continuo e in cui il discrimine tra gioventù e maturità (crescita del vigore fisico) è labile, mentre è avvertibile la vecchiaia per via degli effetti del decadimento fisico. Ma i contorni non definiti della partizione individuale si unificano nella partizione intersoggettiva riguardante la totalità degli individui in un determinato luogo e tempo. Il parametro di riferimento che caratterizza la dimensione oggettiva della vecchiaia ha diverse connotazioni, politica, medica, sociale, economica. Quella di gran lunga più importante è quella politica perché stabilisce il rango sociale della vecchiaia. Il ruolo politico degli anziani è, del resto, il riflesso della considerazione sociale di essi, di norma molto alta in quanto è testimonianza di un patrimonio di sapere e di saggezza da rispettare e da utilizzare. Il consiglio degli anziani (geronti) come organo consultivo del monarca è già presente nei poemi omerici, in cui spicca la figura paradigmatica di anziano del re di Pilo, Nestore. Nella maggior parte delle società, a partire da quelle più antiche, gli anziani hanno avuto un ruolo preminente nella gestione del potere politico. Così in molte città greche e più tardi a Roma, le assemblee degli anziani erano le istituzioni dove si prendevano le massime decisioni per la vita dello stato. L’elevato rango sociale che avevano gli anziani nella società greca è espresso direttamente dalle parole che indicano la vecchiaia perché ad esse era connessa una distinzione onorifica. Si vedano anche le seguenti massime di Aristotele: “il maschio è più adatto a governare delle donne, il vecchio del giovane” (Politica, 1259b3 segg.); “ciò che è antico è degno di rispetto” (Metafisica, 983b33).
La lingua greca per indicare il fenomeno della vecchiaia usa due serie di vocaboli. La prima riconducibile alla radice e comprende vecchio; consiglio degli anziani, specialmente a Sparta; invecchio; vecchiaia. Sono riconducibili alla medesima radice dono onorifico, dignità; onoro; venerando. La connessione tra vecchiaia e onorabilità è inclusa nel medesimo vocabolo.La seconda serie comprende vocaboli riconducibili alla radice sanscrita pura-gava. Vecchio; invecchio; ambasciatore; seniore anziano; dignità; anzianità dignità; onoro. L’anzianità è connessa con il privilegio: Vecchio/venerabile.
Gli aspetti di onorabilità sociale della dimensione collettiva della vecchiaia sono del resto amplificati dalla riflessione filosofica greca che trova spunti interessanti già in Democrito e poi in Platone. Va osservato che qualsiasi partizione della vita dell’individuo (per esempio la tripartizione aristotelica in gioventù, maturità vecchiaia) è significativa in relazione al tipo di problema che si vuole analizzare. Pertanto, la tripartizione, o qualsiasi altra, ha elementi di misura variabili secondo il tipo di supporto di analisi cognitiva che si adduce. Ogni partizione, dal punto di vista dell’individuo, presenta delle ambiguità sostanziali dato che il desiderio di prolungare la vita non può non essere associato che con quello di prolungare la giovinezza. Tale ambiguità è atavica ed è ben rappresentata dall’antichissimo mito di Titone (Inni omerici, Inno ad Afrodite, versi 218-238, VII secolo a.C.). In esso si dice che Eos la dea dell’aurora, innamorata del bellissimo Titone ottenne da Zeus l’immortalità per lui, ma siccome non aveva chiesto una eterna giovinezza, si trovò ad avere accanto a sé un uomo sempre più vecchio che alla fine non riusciva più a muoversi ma parlava incessantemente. Eos lo allontanò dal suo letto e lo pose nella parte più interna della casa. In un’altra versione del mito Titone fu tramutato in una cicala.
Più comune sembra essere stata l’aspirazione di condurre la vita fino al suo decorso naturale, cioè la morte per vecchiaia. Ma dice Montaigne (Saggi, libro I cap. 57): “Morire di vecchiaia è una morte rara, singolare e straordinaria e tanto meno naturale delle altre. E’ l’ultimo estremo modo di morire. Più è lontano da noi tanto meno è desiderabile; è il limite al di là del quale non andremo mai e che la natura ha prescritto per non essere oltrepassato. Ma è un suo raro privilegio farci durare fino a quel momento. E’ un’esenzione che ci dà come favore particolare a uno solo nello spazio di due o tre secoli liberandolo dagli ostacoli e dalle difficoltà tra i due momenti in quel lungo lasso di tempo. Stando così le cose, la mia opinione è quella di considerare che l’età a cui siamo arrivati, è un’età a cui pochi arrivano. Poiché gli uomini ordinariamente non arrivano fino a quel punto, è segno che siamo ben avanti. E poiché abbiamo passato i limiti consueti, che è la vera misura della nostra vita, non dobbiamo sperare di andare oltre. Avendo sfuggito la morte in molte occasioni in cui vediamo incespicare la gente, dobbiamo riconoscere che una fortuna straordinaria come quella che ci mantiene in vita, e al di fuori di ciò che è comune, non deve durare molto”. Il tema dell’allontanamento della vecchiaia e del prolungamento della vita che ancora in Montaigne sembra essere espressione di un desiderio e un’aspirazione collettiva dell’uomo fin dai primordi, diventa agli albori dell’età moderna una prospettiva concreta, frutto dell’esaltazione collettiva per le enormi possibilità di realizzazione i quel desiderio per via del miglioramento delle condizioni di vita materiale che la nuova scienza aveva suscitato. Si pensi a Bacone che nel suo scritto Magnalia naturae (appendice alla Nuova Atlantide 1626) si trovano queste significative richieste: prolungamento della vita, parziale restituzione della giovinezza, ritardo della vecchiaia. Si pensi a Cartesio e ai molti passi in cui afferma di dedicarsi a ricerche volte a prolungare la vita e ritardare la vecchiaia. Nel 1637 quando aveva poco più di 40 anni, dice che i peli bianchi gli impongono di non dedicarsi ad altro che a cercare di ritardare la vecchiaia (lettera del 5 ottobre, Opere, A.T., I, p.434). E ancora nel 1638 afferma di essere interamente occupato in ricerche sul prolungamento della vita e sul ritardare la vecchiaia (lettera del 15 gennaio 1638, A.T. I, p.507). Cfr. anche, V, p.178). Secondo testimonianze indirette, si diceva che pensava di vivere centinaia di anni come i patriarchi (A.T. XI, p.671). Ma verso la fine della vita attenua la sua sicurezza quando afferma che invece di trovare i mezzi per conservare la vita, ne ha trovato uno più agevole e sicuro che è di non temere la morte, (lettera del 14 giugno 1649, A.T. V, p.178).
L’elevata considerazione politica e sociale della vecchiaia, presente in ogni tempo in gran parte delle società, è solo in parte attenuata dalla continua copresenza di miriadi di documenti di carattere storico, letterario, filosofico che esaltano e amplificano i malanni fisici e psichici della vecchiaia che danno luogo a manifestazioni di egoismo, cattiveria, vanità, gelosia, avarizia.
Riprendendo ciò che si è detto all’inizio, la vecchiaia è un aspetto della sviluppo dell’organismo animale ed è, come tutti i fenomeni in cui si ha sviluppo temporale continuo, estremamente complesso. Esso è percepito come tale dall’individuo che lo osserva in se stesso. Il tempo della vita scorre uniformemente secondo una linea che va da un inizio certo (nascita) ad una fine prefissata dalla natura. Entro questo flusso le partizioni che vengono introdotte sono interruzioni arbitrarie e virtuali che non interrompono il flusso della crescita. A livello individuale sono flessibili, variabili in relazione alle esigenze del momento. Un solo elemento influisce sul flusso vitale concreto ed è una lesione o il decadimento della struttura corporea dell’individuo cui è riferito lo sviluppo vitale. La percezione individuale della vecchiaia viene associata normalmente con l’esercizio della memoria. Si può dire che la vecchiaia è una costruzione della memoria e ciò è attestato in modo manifesto dal fatto che la perdita della memoria viene vista come uno dei peggiori inconvenienti della vecchiaia. La memoria agisce come un meccanismo che seleziona nella massa amorfa delle innumerevoli percezioni che si sono succedute nel corso della vita dei vari individui, quelle che sono funzionali alle esigenze del momento e nel medesimo tempo stabilisce, rinsalda e arricchisce continuamente l’identità personale dell’individuo. Nella vecchiaia si altera in parte questo meccanismo selettivo nel senso che affiorano alla coscienza eventi lontani che si ritenevano persi e ne scompaiono altri più recenti. Sembra cioè che il meccanismo selettivo non risponda più a criteri di funzionalità, ma agisca in modo casuale o incontrollato. L’alterazione, più o meno parziale della memoria risulta particolarmente angosciosa in quanto frantuma e attenua il senso della propria identità personale. Va notato anche che l’esercizio della memoria per il vecchio è intimamente connesso con quello del rimpianto per eventi che non si sono compiuti. L’intrinseca connessione tra eventi che ci sono stati e che sono ricordati e eventi che non ci sono stati, ma avrebbero potuto esistere, crea ulteriori motivi di apprensione per il vecchio, Altro elemento di perplessità è il fatto che gli eventi che ci sono stati sono innumerevoli e che gli eventi che non ci sono stati sono non solo infiniti, ma generano ulteriori catene di eventi possibili ma non avvenuti. In genere ogni individuo riesce a trovare una sorta di equilibrio tra eventi che si ricordano e eventi non avvenuti per scelte più o meno consapevoli. Si tratta di meccanismi di compensazione che sorgono nella vita di ogni individuo e che sono volti a giustificare le scelte compiute. La continua riflessione sulle motivazioni delle scelte che si sono compiute nella vita è un esercizio che si fa continuamente anche prima della vecchiaia e normalmente porta a trovare un equilibrio accettabile tra ciò che si è compiuto e ciò che si sarebbe potuto fare. Ma nella vecchiaia raggiungere tale equilibrio è più difficile e spesso, quando non si trova, genera quell’atteggiamento querulo e perennemente insoddisfatto che è una delle caratteristiche tipiche della vecchiaia. Si è detto che la vecchiaia è una costruzione della memoria e lo è nel senso che assume la forma di un bilancio dell’esistenza passata analogo ai bilanci della propria vita passata che ogni individuo fa nel corso della sua vita, a partire dall’età matura con la differenza essenziale che la possibilità di modificazioni delle modalità di vita di un vecchio appaiono limitate e lo sono sempre di più col crescere dell’età. Per valutare a pieno i caratteri della costruzione della memoria della vecchiaia va tenuto conto che la memoria conserva solo l’immagine dell’evento (con tutta la fragilità che ha l’immagine rispetto alla corposità dell’evento reale) e lo conserva in forma frammentata, quasi flash-back o brevi filmati che vengono di volta in volta integrati dall’individuo sulla base delle esigenze e delle motivazioni che gli hanno fatto costruire quel bilancio. Quindi gli elementi connettivi sono altri frammenti fatti riaffiorare alla coscienza più o meno faticosamente o integrazioni artificiose determinate dalle esigenze che hanno spinto l’individuo a quell’esercizio. Quindi la dimensione soggettiva della vecchiaia ha una forma curiosa: da costruzione della memoria diventa costruzione mentale, più o meno artificiosamente costruita e più o meno funzionale. Non è perciò un diario che registra gli eventi passati nel momento del loro accadere, ma un modo di rivedere il proprio passato dandogli un senso, positivo o negativo, sulla base degli stati d’animo dell’individuo vecchio. La percezione individuale della vecchiaia viene associata normalmente con quella relativa alla funzione sociale della trasmissione dei saperi alle future generazioni, cioè con quella collettiva. Tutti gli aspetti soggettivi psicologici di cui si è detto scompaiono nella percezione collettiva in cui permane l’aspetto oggettivo del contenuto dei saperi trasmessi. Ciò spiega l’elevato rango sociale di essa che si è mantenuto costante nei secoli malgrado le differenze relative ai tempi e ai luoghi. La percezione collettiva dei vari individui è ancorata alla tradizione storica del paese in cui vivono: è un elemento culturale che di solito si sedimenta con poche significative trasformazioni. La tradizione storica nella percezione collettiva ha una funzione paragonabile alla memoria nella percezione individuale. Infatti, come la memoria dà continuità e identità alla percezione dell’individuo in quanto individuo, la tradizione storica, tramite la trasmissione dei saperi, dà continuità e identità all’individuo in quanto individuo sociale. La percezione individuale è di per sé frammentata, tormentata e complessa. La percezione collettiva invece è stata da subito abbastanza omogenea nella nostra società occidentale, malgrado alcune cadute che possono averla resa opaca, per la relativa stabilità che ha avuto la tradizione culturale cui è ancorata, cioè una concezione della cultura come educazione, fondata sui valori espressi dai classici, che un grande studioso W. Jaeger considerava la più grande conquista dei Greci, concezione che è stata accolta come caratteristica essenziale e fondamentale della cultura occidentale.
La connotata vocazione pedagogica di una tradizione culturale comporta che la trasmissione dei saperi tramite la testimonianza degli anziani rappresenta uno strumento di elezione rispetto a quelli usuali delle scritture e delle scuole. Si avvale di colloqui, discussioni, lettere e soprattutto pratiche condivise che qualificano concretamente l’apprendimento a modelli cui adeguarsi. Normalmente la connessione tra percezione soggettiva e oggettiva della vecchiaia si è mantenuta costante nel tempo, ma alla fine del secolo XIX e agli inizi del secolo XX si è attenuata e ha portato ad un ridimensionamento del rango sociale della vecchiaia per motivi di ordine culturale, cioè per il diffondersi di teorie irrazionalistiche tendenti ad esaltare la gioventù rispetto alla vecchiaia, la velocità rispetto alla lentezza, il vigore fisico e la volontà di predominio rispetto alla mediazione e alla ragionevolezza, con le inevitabili tragiche conseguenze che si sono avute con l’avvento del fascismo e del nazismo. Ma il ridimensionamento del rango sociale della vecchiaia è ricomparso anche ora che quei tragici eventi sono trascorsi, ma ha assunto nuove forme, legate, come vedremo, a modificazioni strutturali nel rapporto tra percezione soggettiva e oggettiva della vecchiaia. C’ è stato, infatti, in questi ultimi anni, una grave crisi di carattere culturale, consistente nel progressivo abbandono della dimensione pedagogica della cultura come sistema di valori collettivo da diffondere, assimilare e trasmettere alle generazioni future. L’avventura berlusconiana non ha fatto altro che accrescere e consolidare una prospettiva già in atto, ma non ancora diffusa e condivisa. La crisi dei partiti, in quanto organizzatori del consenso popolare attorno a ideali comuni, a favore di organizzazioni populistiche e demagogiche, non ne è che il documento più vistoso ed inquietante. Ciò ha portato conseguenze anche nella considerazione della vecchiaia perché ha fatto sorgere una sorta di giovanilismo come risposta esasperata ed eccessiva alle cosiddette elites gerontocratiche che tengono occupati da sempre le principali posizioni di potere in ogni settore della vita pubblica e privata. L’abbandono di prospettive generali solidamente fondate in grado di dare una formazione capace di adattarsi ad ogni situazione nel modo più adeguato comporta l’adesione al più rozzo empirismo. In campo educativo vuol dire favorire le scuole che danno una formazione di immediato utilizzo pratico. In politica vuol dire far propria l’insulsa idea, tanto diffusa da essere diventata un luogo comune, che istituti ed uomini politici dovrebbero occuparsi prioritariamente dei problemi concreti ed impellenti dei cittadini, mentre formulazioni più generali e meno aderenti a questi bassi intenti populistici vengono indicate come astrattezze vane e inconcludenti. Queste prospettive si riscontrano anche nel modo con cui viene presentata e accolta la vecchiaia. Il vecchio, soprattutto quando è depositario di valori culturali, viene disprezzato. Si pensi alle polemiche sui senatori a vita, e in particolare alle indegne gazzarre suscitate contro M. Luzi e R.L. Montalcini. Si pensi alla campagna di rottamazione dei vecchi della politica diventata molto popolare.
Lo sfasamento odierno rispetto a quello maturato a fine Ottocento e sviluppatosi nella prima metà del secolo XX, ha la caratteristica di essere strutturale. Un tempo la dimensione soggettiva della vecchiaia era connesso intimamente con quella oggettiva. La vecchiaia era percepita dagli individui con il decadimento fisico, ma era percepita come tale anche dai membri del nucleo familiare e dalla comunità più vasta in cui si svolgeva la vita dell’individuo, cui era affidato il compito di attutire gli effetti negativi del decadimento fisico, assorbendone anche i costi. Oggi, per una serie di ragioni attinenti all’evoluzione progressiva della medicina e della vita sociale ed economica, si è avuto un significativo prolungamento della vita e un drastico miglioramento della qualità di essa. Ciò ha provocato una sconnessione tra la percezione soggettiva e oggettiva della vecchiaia. La percezione individuale mantiene la dimensione biologica della vecchiaia, quella collettiva diventa invece artificiale, dato che coincide normalmente con l’età pensionabile. L’istituto della pensione si è generalizzato nei paesi più avanzati a partire dagli inizi del secolo scorso e si è esteso progressivamente alla maggior parte delle persone che abbiano avuto un lavoro o meno. Antecedentemente, la pensione era elargita come une ricompensa corrisposta a personalità o a categorie privilegiate; viene gradualmente estesa a categorie più vaste di lavoratori nel corso del secolo XX. La determinazione dell’età della pensione presenta parecchie ambiguità perché nella sua determinazione considera fattori diversi. Il fattore statistico relativo alla durata media della vita, quello della sostenibilità economica delle risorse messe a disposizione dallo Stato per integrare i versamenti fatti dai lavoratori, quello relativo al tipo di lavoro svolto. Il difficile equilibrio tra questi fattori fa emergere ambiguità e anche contrasti per via della sconnessione tra dimensione soggettiva e oggettiva della vecchiaia perché l’età della pensione spesso non risponde alle aspettative degli individui. L’instaurazione di una nuova coesione tra la dimensione individuale e collettiva rimane, a mio parere, il compito di una visione razionalistica della vecchiaia. Il compito non è facile nella situazione odierna, condizionata, come si è visto, da prospettive generali diffuse e condivise dalla maggior parte delle persone, sfavorevoli e presenti in ogni tipo di attività. Infatti, l’interruzione dell’età lavorativa diventa un fatto traumatico come testimoniano le varie tipologie di reazione. A volte si vorrebbe allontanarla il più possibile fino a che l’organismo possa sopportarla; a volte, quando il lavoro non è gratificante, l’età pensionabile viene vista come una liberazione; a volte è l’occasione per intraprendere nuove attività e per realizzare desideri insoddisfatti o interessi sopiti; a volte induce alla tristezza e alla depressione.
Il protrarsi della vecchiaia ha introdotto molte innovazioni anche nel tessuto della vita sociale, specie in quella cittadina con l’introduzione di istituzioni di carattere medico- assistenziale, di nuove figure di operatori sociali, di nuove abitazioni e di adattamenti di quelle esistenti, di nuove forme di organizzazione del tempo libero e di luoghi di incontri per attività culturali ecc., di nuove partizioni del flusso di crescita dell’individuo. Queste iniziative, pur pregevoli in sé, non hanno carattere risolutivo perché sono gravate dal congenito diffuso empirismo. Mostrano solo la necessità di ripensare in modo sistematico le nozioni di partizione individuale e collettiva del flusso della vita, e di creare nuove forme di integrazione del momento soggettivo con quello oggettivo. Può essere conseguito solo togliendo ogni forma di rigidità alle nuove istituzioni e alle nuove attività che la nozione moderna di vecchiaia ha suscitato, favorendo la possibilità di disciplinare la propria vecchiaia e di collegarla con quella di altre, e soprattutto togliendo quella sorta di barriera rigida nella partizione individuale del flusso vitale introducendo la flessibilità che hanno le altre partizioni (gioventù e maturità).
La mia proposta conclusiva per superare lo sfasamento tra percezione individuale e collettiva della vecchiaia sarebbe quella di appaiare in modo sistematico al mercato del lavoro un mercato del lavoro per anziani. Occorre però superare due pregiudizi empiristici inveterati. Uno è quello del volontariato che andrebbe drasticamente ridotto a casi particolari. Il lavoro volontario, infatti, indebolisce la qualità del lavoro stesso, in quanto deresponsabilizza l’operatore ed è anche poco efficiente, come osservava già Descartes nel Discorso sul metodo. L’altro pregiudizio è quello che il lavoro senile toglie spazio ai giovani. Potrebbero anzitutto coprire i posti soppressi, soprattutto nella pubblica amministrazione. Potrebbero inoltre affiancare i giovani in attività in cui l’esperienza è indispensabile .
Gianni Micheli già Professore Ordinario di Storia della Scienza presso l’Università degli Studi di Milano