Sovranisti: quanto fulgore nella parola, che sa di porpora e di oro, ma che contiene quel veleno che cent’anni fa infettò l’Italia intera e la Germania e gran parte dell’Europa. E da cui il mondo si liberò solo con una mostruosa effusione di sangue.
Al suono di quella parola, “sovranisti”, ti aspetteresti squilli di trombe e rullo di tamburi, strade pavesate a festa e popolo in delirio. Quest’ultimo c’è. Non proprio tutto il popolo, ma una buona parte effettivamente sta delirando. Sovranismo: ché torna Re Sole? Macché solo qualche strano tipo in maniche di camicia che ciancia, diffonde frottole e fandonie, assicura che finalmente il popolo è sovrano, padrone in casa sua; e lui, che del popolo è il garante (forse ha nel taschino della camicia, che ha comprato al mercato rionale, le patenti di corsa, come il pirata François l’Olonaise), ne interpreterà onestamente i voleri nonché i desiderata. Sovranismo, potenza e ambiguità della parola: forse essa evoca, oltre che il potere, un sovrano, un padrone, a cui la folla aspira ad affidarsi. Se però guardi il tipo che vuol instaurare un bel regime sovranista, ti cascano le braccia. Non scherziamo. A scuola almeno una cosa ce l’hanno insegnata, che i sovrani se pure non sempre avevano il physique du role, certamente sapevano provvedere a un guardaroba che rimediasse all’avarizia di madre natura. Una camicia dozzinale e un paio di jeans sdruciti non son certamente all’altezza di questo grave compito.
Luigi Ganapini