Coronavirus: Casa Industria di Brescia
In questi giorni le RSA, ancora largamente definite case di riposo, sono diventate centrali nelle notizie di giornali e televisioni. Le nostre strutture stanno garantendo servizi assistenziali a coloro che risiedono in RSA e a coloro che vivono nella loro casa, attraverso interventi domiciliari. Lo stanno facendo ovviamente in condizioni non routinarie, anche se la parola routine mal si addice a servizi rivolti all’assistenza e alla cura delle persone dal momento che, anche se fragili e molto avanti negli anni, rimangono individui, con le loro specifiche qualità, portatori di esigenze uniche e differenti a cui dare risposte personalizzate.
Da alcune settimane, seguendo le disposizioni regionali, anche Casa Industria ha chiuso le porte a familiari ed amici, a volontari, tirocinanti, a giovani in alternanza scuola-lavoro, al servizio religioso, alla parrucchiera e al podologo, a gruppi teatrali, a operatori museali, ad artisti: insomma a tutte quelle realtà con cui collaboriamo da anni e che arricchiscono la nostra offerta assistenziale e creano un ponte vitale fra interno ed esterno. Anche se la percezione dei familiari che ci guardano dalle loro abitazioni è quella di considerarci al sicuro come fossimo in una teca di cristallo, sappiamo bene che non è così: per garantire l’assistenza quotidiana ogni giorno entrano ed escono dalla RSA più di 80 persone tra operatori e operatrici nelle loro diverse divise, cuoche, personale addetto alle pulizie e alle manutenzioni. Siamo a porte chiuse ma abbiamo un varco costantemente aperto verso il rischio di contagio proprio da coloro che con dedizione quotidiana assistono i nostri ospiti. Siamo noi la fonte del possibile virus e non ci siamo fermati come nella favola della bella addormentata nel bosco: pertanto il rischio del contagio è molto alto e quotidianamente presente. Per quanto sarà ancora possibile, in queste condizioni e data la grande fragilità dei nostri ospiti, proteggerli da un virus così dilagante e contagioso? Purtroppo non lo sappiamo.
Quello che possiamo fare è garantire tutti i nostri servizi, in condizioni di grande incertezza e imprevedibilità, adottando risposte nuove e comportamenti inediti. Ne elenco alcuni:
1- Abbiamo intensificato la collaborazione fra le Fondazioni della città che erogano gli stessi servizi. Acquisti centralizzati di dispositivi di protezione, confronto costante delle procedure fra le direzioni generali e sanitarie, scambio di soluzioni organizzative ci alimentano di conoscenza e di opportunità e possono prefigurare collaborazioni più strutturate in futuro.
2- All’interno della nostra realtà, stiamo imparando a lavorare con forme di cooperazione e minor distanza fra luoghi decisionali ed operativi: lunedì, mercoledì e venerdì, nel cambio turno e nel rispetto della distanza di sicurezza, si tiene l’incontro con tutto il personale per informare della situazione complessiva degli ospiti, delle procedure da adottare (dato il repentino evolvere delle disposizioni), per condividere proposte e soluzioni tecniche, per lasciar affiorare apprensioni e timori.
3- Gli stessi ruoli professionali ne vengono modificati, ognuno si fa più vicino al collega e si fa carico di compiti inusuali per dare maggiore concretezza all’operatività di tutti. Educatori che aiutano nell’idratazione degli ospiti, fisioterapisti che fanno la piega alle signore, la barista che igienizza i sovra camici ed infermieri e coordinatori che li stendono e li piegano per renderli disponibili ai colleghi ad ogni cambio turno.
4- L’assenza dei parenti è molto difficile da reggere e richiede agli operatori un surplus di competenze relazionali per rincuorare l’ospite con quei rituali, gesti, parole che normalmente sono veicolate dall’intimità familiare. Il colore del golfino, la collana che adorna, una preghiera che calma, le due gocce di profumo, un massaggio ai piedi sono gesti di cura che rassicurano sia l’ospite che il familiare che la distanza non è assenza e che l’assistenza è pensata prima di essere erogata.
5- Questi gesti competenti nell’accudimento rivelano la matrice professionale della cura (così scarsamente rilevata e valorizzata), il suo essere un’attività ricca e complessa, prerogativa per leggere ed interpretare i bisogni dei nostri utenti e tentare di costruire risposte varie ed individualizzate. E rivelano come un servizio di assistenza qualificata richieda minutaggi più elevati di quelli previsti oggi dalle regole di accreditamento, con costi totalmente a carico della struttura.
6- Si fa e si pensa, si impara dall’emergenza e si mette a tesoro per il futuro. Nel mentre si organizzano le nostre attività in tempo di pandemia, proseguono le attività di progettazione di nuovi servizi e nuovi metodi di assistenza. Il virus ha interrotto il percorso di formazione del personale di Casa Industria e di Brescia Solidale al metodo di cura Gentlecare, ma nel frattempo si studia il manuale. La progettazione della terrazza per il nucleo Alzheimer prosegue sugli schermi dei computer e presto diventerà uno “spazio protesico” per i nostri ospiti. Gli educatori di Casa Industria, Casa di Dio e Brescia Solidale appena possibile saranno in formazione con le guide museali per realizzare anche a Brescia l’esperienza dei Musei Alzheimer.
Ed infine, una riflessione su come le persone che abitano nella nostra RSA stanno vivendo queste settimane. Nel maggior silenzio che si respira nei nuclei, si possono avvertire meglio i segnali che provengono dagli ospiti. Hanno ben compreso che stanno vivendo una realtà modificata, sospesa in alcune certezze. Avvertono, pur con sfumature diverse, che è in corso qualcosa di grave, cercano nel viso degli operatori segnali di conforto, sono pazienti e composti, come se le loro vite avessero già imparato la lezione da altri momenti drammatici. Sono esempi di come si disegna l’oggi e prenderà forma il domani delle nostre strutture, implicate e intente come altri ambiti della vita collettiva a trovare risposte a nuove forme del vivere, a tenere per mano la dignità delle vite fragili.
Nel 2017 in occasione della ricorrenza dei suoi 200 anni, Casa Industria scelse come motto per il futuro: “il diritto di essere fragili”. Chiaroveggenti? No, siamo realtà vive, ricche di competenze, pronte a guardare avanti e a scrollare i numerosi stereotipi culturali così presenti nella società che qualificano le RSA come luoghi di abbandono, di morte e di anonimato.
Elisabetta Donati – Presidente Fondazione Casa di Industria Onlus