“Risposta di cure alle diverse vecchiaie” è il titolo del primo articolo di Clara Bassanini su questo stesso tema, già pubblicato sul sito. La relazione di Elisabetta Donati che pubblichiamo oggi, affronta un altro aspetto della medesima tematica che è stata l’oggetto dell’incontro che Donne In ha organizzato il 16 dicembre scorso in collaborazione con l’Unione Femminile di Milano.
Trascorrere del tempo come ospiti in una Rsa non è il modo peggiore per chiudere la propria vita!
A novembre di 5 anni fa sono stata nominata Presidente di una storica Fondazione bresciana, la “Casa di Industria Onlus”. Nata più di 200 anni orsono, nella forma di working house come risposta della città al crescente fenomeno del pauperismo, ha attraversato tante stagioni della storia d’Italia dal Risorgimento all’unità nazionale, le conseguenze delle due guerre mondiali, la nascita del Welfare italiano, la trasformazione da ex IPAb (Istituti pubblici di assistenza e beneficienza) a Fondazione di diritto privato, settore no profit. La Fondazione è accreditata e contrattualizzata con Regione Lombardia per 130 ospiti oltre ad un Centro diurno Integrato che ne ospita 30 e gli interventi a domicilio che raggiungono circa 400 persone anziane.
Ho conosciuto inizialmente Casa Industria come familiare: la mia mamma vi è stata ricoverata nel marzo 2014 con gravi patologie ed ora ha compiuto 90 anni. Come per tanti figlie e figli, la scelta di inserire il proprio genitore in una Rsa non è una decisione indolore. Ma ricordo che mi furono di grande conforto alcuni dettagli che elessi come aree della riflessione e che tuttora mi accompagnano come finestre di osservazione sul funzionamento dell’organizzazione: in questa struttura tutti si scambiavano un saluto, il personale dedicava tempo alla relazione e non solo nell’accudimento, le lenzuola che avvolgevano il corpo della mamma sapevano di pulito.
Dopo 6 mesi, mi è stato chiesto di fare la presidente e ho ricevuto la nomina, insieme ai componenti del Consiglio di Amministrazione, dal Sindaco di Brescia.
Vengo da una trentennale storia professionale come studiosa e ricercatrice sociale nelle aree della famiglia, delle pari opportunità e dell’invecchiamento, attività che mi ha fornito interessanti chiavi di lettura della modernità ma poca esperienza gestionale. Come familiare capivo che la struttura era buona, ma i dati presentavano diversi elementi di criticità: un disavanzo, comune a tutte le Rsa dati i vincoli della budgetizzazione e dei trasferimenti pubblici che rallenta le necessarie innovazioni strutturali e dei modelli assistenziali, un’età media del personale, in maggioranza femminile (come gli ospiti ed i loro familiari) piuttosto alta e, tratto comune a tutte le strutture con un passato di natura custodialistica, la necessità di collaborare maggiormente con la comunità ed il territorio di riferimento.
All’inizio ho posto tante domande, ho chiesto dati, ho sollecitato esplicitazione dei significati delle scelte operative per comprendere il modello organizzativo con cui si stava operando poiché la riflessione e l’apprendimento dall’esperienza sono spesso un lusso che ci si permette “solo se avanza del tempo”. Avevo da poco terminato delle ricerche per Ires Piemonte, Istituto Ricerche Economico Sociali Del Piemonte, sull’ageing a livello internazionale, e come Pari e Dispari avevamo seguito progetti di ricerca-azione sull’invecchiamento attivo e sul fenomeno del maltrattamento delle persone anziane. Mi guidavano alcuni ragionamenti: l’invecchiamento come processo che evidenzia le singolarità degli individui, il valore dell’umanizzazione e della personalizzazione delle cure, la dimensione sanitaria (anziani molto fragili) unita alla dimensione assistenziale ed educativa, un’organizzazione riflessiva, capace di leggersi e di migliorarsi, un management cooperativo e soprattutto l’alleanza strategica con il territorio.
E qui mi sono venute in soccorso la mia formazione di studiosa, i quadri teorici di analisi che qualcuno all’inizio un po’ derideva: “una presidente sociologa!”.
Invece studiare serve e moltissimo: nel mio caso, la sociologia aiuta ad adottare letture complesse dell’azione, delle organizzazioni, della società; l’approccio del corso di vita a leggere la plasticità delle esistenze e i nessi fra individuo e contesto; l’approccio di genere a guardare alle differenze anche da vecchi, alla cura come dimensione professionale ma anche come causa di diseguaglianze e di svalorizzazione dei caregivers formali ed informali.
Inizialmente il mandato del Consiglio di amministrazione era di due anni per consentire l’ordinaria gestione ed il cambiamento dello statuto. Ho colto l’occasione per condividere con gli altri consiglieri orientamenti ispirati a letture innovative come l’analisi organizzativa, il benchmark (cosa fanno le altre Rsa e se possibile, collaborare con altre fondazioni), la logica del lavoro di comunità, la dimensione di genere del lavoro di cura, l’approccio biografico creando gruppi di lavoro e coinvolgendo il personale.
Intanto il deficit aumentava, tante notti insonni ed uno stato d’agitazione proclamato dalle organizzazioni sindacali.
Piano piano acquisendo una migliore conoscenza della struttura e dei suoi delicati e complessi meccanismi di funzionamento, e con un mandato effettivo di 4 anni di presidenza, mi sono circondata di figure più specialistiche sia nel Consiglio di indirizzo che nel Comitato di gestione; insieme abbiamo studiato e trasformato l’appuntamento del budget per delineare un piano strategico pluriennale, che mettesse al centro delle ipotesi di risanamento del bilancio, cambiando il management, rivedendo tutti i contratti di fornitura, l’utilizzo delle risorse, l’apertura al territorio, internalizzando figure professionali, impostando una migliore informazione con i lavoratori, creando le condizioni per collaborazioni strutturate con altre fondazioni non solo per abbattere i costi ma per arricchire la filiera e la fruibilità dei servizi. Mi sono anche cimentata, insieme ad altri consiglieri, in azioni di Fundraising, raccogliendo fondi necessari a realizzare importanti opere di ristrutturazione degli ambienti e dotare la struttura di nuovi ausili per una migliore gestione degli ospiti e per la prevenzione ed il benessere della salute del personale. In occasione dei 200 anni di attività di Casa Industria, nel 2017 abbiamo inaugurato la “Stanza dell’abbraccio” un luogo dedicato ad accompagnare la terminalità della vita della persona ospite della Casa insieme ai familiari e agli amici.
La nostra struttura è oggi un attore integrato nella rete complessa del Welfare della città: è ubicata nel Centro storico, nella parte più antica della città, circondata dal museo longobardo di Santa Giulia e dal tempio romano; i nostri edifici sono segnalati da pannelli di narrazione storica anche in lingua inglese. Ha porte aperte a tutti: tirocini, alternanza scuole-lavoro, forme di volontariato civico, messa alla prova, lavori di pubblica utilità, collaborazioni con i musei cittadini, con i gruppi teatrali, partner con università per attività di ricerca, unità dell’osservatorio Rsa dell’Università i Castellanza, anima con 12 partner istituzionali e professionali il Centro di documentazione e informazione sulla salute di genere, collabora con i Punti comunità, ed altro ancora.
Soprattutto sta diventando patrimonio comune ad amministratori, ospiti, familiari, collaboratori, volontari, attori del territorio la consapevolezza che le nostre strutture operano come organizzazioni complesse, coinvolte in continua innovazione, aperte alle domande che l’invecchiamento sociale pone, tese a sintonizzarsi su specifici bisogni, necessità, stili di vita, investendo molte risorse nella formazione continua delle operatrici e degli operatori, nella supervisione specialistica del loro lavoro, nel dialogo con i familiari, con i professionisti del territorio, con il terzo settore, dotandosi di ausili informatici e tecnologici per ridisegnare l’agire assistenziale ed educativo.
Sono convinta che lo sguardo della collettività è cruciale per la nostra filosofia di cura perché una comunità consapevole della complessità del processo di invecchiamento veicola domande di qualità nell’assistenza delle persone che invecchiano e garantisce la nostra capacità di agire ed evolvere nelle risposte di dignità e rispetto, di chi è ospite e di chi lo cura.
E lo sguardo delle donne scruta più profondamente in queste inedite esperienze di vita. Viviamo più a lungo, siamo le più coinvolte nei complessi meccanismi di cura, come caregiver formali ed informali e, per le dinamiche demografiche e familiari, saremo le future utenti di servizi come quelli gestiti da Casa Industria. Abbiamo maturato esperienze e competenze personali, relazionali, professionali, sociali che possono ispirare i futuri processi di cambiamento e di innovazione delle strutture assistenziali, come già accade quando ci confrontiamo con donne professioniste – architetta, fotografa, esperta di comunicazione, fundraiser – che progettano con noi mettendo l’accento sulla ricchezza della nostra diversità, forzando alcune immagini della vecchiaia per far spazio a plurimi desideri e nuove istanze di benessere nella cura.
Si, perché la cura si intreccia strettamente con il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione, e come scrive Chiara Saraceno, se vogliamo avere una società più integrata relazionalmente, più giusta e senza gravi deficit di cura, occorre che il processo che alcune studiose femministe hanno definito della “politicizzazione della cura”, ovvero della immissione dei problemi e delle relazioni di cura nella sfera pubblica, prosegua in più direzioni. Si tratta di riconoscere complessivamente la necessita e il valore del lavoro di cura, di fare spazio al tempo della cura, e insieme di allargare il raggio dei soggetti che se ne fanno carico.
Per l’esperienza di Casa Industria, la cura è un paradigma culturale utile al governo di una struttura complessa, che cerca di offrire ai tanti attori che la abitano e la animano, oltre a servizi di qualità, la voglia ed il desiderio di appropriarsi del tempo dell’invecchiare per dischiudere comprensioni e significati nuovi alla propria esistenza.
Elisabetta Donati, Presidente Fondazione Casa di Industria Onlus di Brescia