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La presa in carico dei malati cronici in Lombardia

La presa in carico dei malati cronici   in Lombardia

Nonostante lo spirito di iniziativa e l’interesse per la vita che ci contraddistingue, ogni tanto la nostra salute ci richiama al dovere di prenderci cura di noi.

La novità che molte di noi hanno sperimentato è stata che anche la Regione Lombardia, nel 2018, ci ha comunicato con ben due lettere personalizzate che intende “prendersi cura di noi “, e ci invita ad   affidarci ad un soggetto, il cosiddetto gestore, che ha il compito di accompagnarci tra le prenotazioni delle visite specialistiche e degli accertamenti diagnostici, la somministrazione dei farmaci   ed altro ancora.

Abbiamo scoperto così che facciamo parte di un “target“ di popolazione, quello dei malati cronici, categoria un po’ impietosa e definitiva ai nostri occhi, ma determinante per gli amministratori pubblici che si occupano della sanità, se è vero che nei paesi avanzati (soprattutto a causa del prolungarsi della vita, in particolare per le donne),  si stima che mediamente il 20% della popolazione sia costituita da questi malati, che assorbono circa il 70% delle risorse per tutelare la salute di tutta la popolazione.

Il problema è molto serio e quindi dobbiamo occuparci molto seriamente delle soluzioni che vengono adottate a livello regionale, soprattutto per comprendere quali ricadute hanno sulla tenuta dei servizi sanitari pubblici di carattere universalistico. Sappiamo dai confronti internazionali che il peso della spesa sanitaria è significativamente più elevato nei sistemi sanitari a impronta assicurativa, rispetto a quelli pubblici e universalistici. La sanità è il cuore dell’attività e del bilancio regionale ed è tra le materie   per cui alcune regioni – la Lombardia in primis – hanno chiesto l’autonomia differenziata e si apprestano ad affrontare gli appuntamenti istituzionali ravvicinati per ottenerla.

In generale va detto che, per affiancare al modello della cosiddetta   medicina di attesa – che risponde agli acuti e fa perno sugli ospedali – la „medicina di iniziativa“, che si rivolge ai cronici, le infrastrutture base sono i distretti delle ASL e l’organizzazione delle cure primarie, con i medici di medicina generale (MMG) da raccordare agli specialisti e con altre figure paramediche. Quindi occorrono infrastrutture che stanno sul territorio e si interfacciano con gli ospedali per i casi più gravi di monopatologia o pluripatologia cronica.

Se cerchiamo una legge della regione Lombardia   che abbia segnato il passaggio dalla “cura“ al „prendersi cura“ dei malati, come  dice il messaggio comunicativo della Regione, o meglio se cerchiamo una legge regionale con cui sia stato deliberato il modello lombardo della „presa in carico (PIC) dei malati cronici“, non la troviamo. Quello che viene assunto e proposto dalla Lombardia come „politica di governo della “domanda“ (ora è toccata ai cronici) è l’esito di un lungo percorso che possiamo far partire dal 2005 (la creazione della Banca dati assistito) e che ha avuto la caratteristica di intrecciare l’implementazione con la sperimentazione,  e lo ha fatto esclusivamente con Delibere di Giunta (DGR), in particolare con quelle del 2017 (Presidenza Maroni).

Solo l’art. 9 della l.r. 23/2015, di riforma del Servizio socio sanitario regionale, (SSR), ha annunciato ( in termini generici, ma sufficienti per cogliere la direzione di marcia) quale sarebbe stato il modello di presa in carico del paziente cronico adottato. Due sono i punti qualificanti di questo articolo: a) la Regione „adotta…un sistema di classificazione delle malattie croniche in categorie clinicamente significative …..cui corrisponde una modalità di remunerazione onnicomprensiva delle prestazioni necessarie per la corretta gestione dell’assistito..“ b) la Regione  „definisce…. i criteri di accreditamento e remunerazione per le attività di presa in carico dei pazienti da parte di soggetti di natura pubblica o privata, che intendono attuare il modello… “.

Quindi l’idea è stata – per dirla in termini aziendali approssimativi – quella di costruire dentro al SSR una sorta di “ramo di impresa“ con „soggetti“ dedicati ai malati cronici e con una dotazione di risorse predefinibile. Invano La Deliberazione del Consiglio Regionale (D.c.r.) del 5 agosto 2015, che ha preceduto di pochi giorni l’approvazione della l.r. 23/2015 ha impegnato la Giunta a prevedere una diffusione capillare ed omogenea sul territorio regionale dei PReSST (i Presidi socio sanitari territoriali), cosa che avrebbe ancorato i previsti “soggetti“ all’impianto del SSR. La medicina del territorio di tipo pubblico, fatta eccezione per la rete dei medici di base, in Lombardia è rimasta molto carente ed è stata depotenziata nel corso del tempo, in continuità con l’impostazione dei governi di centro destra regionali che si sono avvicendati, a partire dalla presidenza Formigoni iniziata nel 1995.

La legge 23/2015 ha elencato tutti i possibili modelli di servizi sanitari e sociosanitari territoriali pubblici da istituire, compresi quelli della legge Balduzzi del 2011, ma senza previsioni temporali di attuazione.  Nei fatti quella che stava procedendo era la sperimentazione del modello dei Chronic Related Groups (dal 2011 al 2016) che prevede la figura di un soggetto gestore.

Realizzata con la creazione delle cooperative dei medici di medicina generale (MMG) che ha facilitato il reclutamento dei pazienti, questa sperimentazione oggi viene vista per alcuni aspetti come l‘ incubazione del modello di Population Health Management (PHM) di derivazione statunitense.

Fra gli elementi distintivi del modello PHM (a cui vengono ricondotte le esperienze in corso con modalità diverse, per la PIC dei cronici, in Veneto, Toscana, EmiliaRomagna e Lombardia), c’è l’impiego di data base amministrativi (in Veneto sono amministrativi e clinici) che consentono di costruire i consumi medi per target di popolazione e di avere una funzione descrittiva o predittiva della spesa regionale.  Quindi é possibile identificare e stratificare la popolazione attraverso specifici algoritmi che distinguono le coorti per condizioni di salute e predisporre dei set di cura.

Viene abbandonato perciò il modello per cui erano i clinici che adattavano le diverse filiere di servizi esistenti alle esigenze dei singoli pazienti e sceglievano le strategie terapeutiche.

All’interno del modello   generale di PHM applicato ai cronici, la Lombardia ha adottato delle scelte specifiche che la differenziano dalle altre regioni:

a) La Banca dati assistito è diventata una delle più importanti raccolte di big data internazionali. Tuttavia, le informazioni alla base della PIC dei cronici e degli algoritmi sono di tipo amministrativo e non clinico e per ora non sembrano poter recepire informazioni sugli stili di vita o su variabili socioeconomiche dei pazienti.

b) ha affidato la presa in carico dei cronici (e nel corso del 2017, anche dei “fragili“) ad un “gestore“ (che è un soggetto con personalità giuridica, cioé un soggetto pubblico, privato, una cooperativa di medici) con cui il paziente deve stipulare un „patto di cura“ (che è un contratto di diritto privato). Il gestore a sua volta, stipula dei contratti con soggetti erogatori per avvalersi delle cure (i farmaci, gli esami di laboratorio e altro) da offrire ai pazienti che ha preso in carico. Quindi i pazienti non scelgono più a chi rivolgersi per gli esami. Mentre secondo le delibere del 2017 era solo il clinical manager del gestore a fare il Piano di assistenza individualizzato (PAI) – che permetteva al paziente di ricevere le cure – la novità introdotta dal DGR 754 del 5 novembre 2018 è che il malato cronico può rivolgersi al medico di medicina generale, quindi al suo medico di base, per chiedergli di fare il PAI, a patto che gli dica con quale gestore stipula il Patto di cura. In ogni caso il PAI è contestuale o successivo al patto di cura, dura un anno, è rinnovabile così come il patto di cura.

E‘ importante che il patto di cura che lega il paziente al gestore abbia una durata   prevista, e che non possa essere rinnovato tacitamente. Infatti, il recesso per scegliere un altro gestore è semplice se avviene alla scadenza del contratto. Mentre nel caso in cui si voglia concludere il rapporto in vigenza di contratto, il paziente può sì recedere subito, ma se vuole rivolgersi ad un altro gestore, ha l’onere di provare davanti ad una commissione istituita dalla ATS che ha dei gravi motivi per farlo. (DGR. 7655/2017, che sarà soggetto a revisione con decreto del Direttore Generale Welfare).

E‘ vero che ci sono medici e pazienti che si rifiutano di aderire   alla Pic dei cronici. Tuttavia, il DGR XI/1046 del 17.12.2018 preme per un reclutamento più incisivo di quello svolto nel 2018 attraverso le lettere che invitavano i pazienti a confrontarsi con il medico di base. Attualmente si dispone che qualsiasi erogatore incontri il paziente cronico (es. un MMG, il pronto soccorso, l’ospedale nel caso di un ricovero, lo specialista) possa illustrare e indicare le opzioni tra i gestori e fissare un primo appuntamento per un incontro di “reclutamento“.

Inoltre, non é chiaro dalle delibere quali e quanti punti di contatto il gestore sia tenuto a creare sul territorio, affinché i pazienti possano rivolgersi direttamente a lui. Si capisce che ci saranno collegamenti attraverso call centre e telemedicina, compreso un nuovo ruolo affidato alle farmacie dal DGR 1046/2018.

Quello che il cittadino teme è che questo sistema diventi più costoso perché moltiplica le funzioni amministrative e informatiche mentre rischia di essere meno efficace e più farraginoso nell‘affrontare gli aspetti clinici. E‘ vero che il DGR 1046/2018 vede nel gestore „una sorta di tessuto connettivo “che garantisce (attraverso i centri servizi) l’integrazione tra MMG e specialisti, che é fondamentale con l’aggravarsi della complessità delle malattie croniche. Tuttavia,   lascia molto perplessi l’elenco dei   gestori resi idonei dalla Regione, dove compaiono, accanto a soggetti privati noti e già contrattualizzati con il SSR, dei soggetti che sembrano privi di requisiti, per es. laboratori analisi, RSA ( Residenze socio assistenziali per anziani, CDI (centri diurni integrati), servizi di ADI (Assistenza domiciliare integrata), multinazionali, assicurazioni, ecc.

c) una riflessione va dedicata infine al modo di procedere della regione Lombardia nell’intreccio tra implementazione e sperimentazione della PIC dei cronici. L’approccio lombardo resta top down e affidato solo alle delibere di Giunta. Ma ci sono importanti cambiamenti che vanno monitorati e che contano anche agli effetti di chi   esprime critiche o non vuole aderire.

Nel 2017 vi è stata una raffica di delibere di giunta nel 2017, che hanno definito la stratificazione dei pazienti cronici (dalla Banca dati Assistito sono state individuate poco più di 60 patologie croniche che vanno moltiplicate per tre livelli di gravità), gli algoritmi, i set di cura, l’istituzione dei gestori (su cui pende un ricorso al Tar della Lombardia  promosso nel 2017 da Medicina democratica e da altri sindacati medici) con  le modalità di reclutamento di questi soggetti, le relative procedure per la presa in carico dei pazienti cronici, gli elenchi degli erogatori con i quali i gestori possono stipulare contratti per avvalersi delle loro prestazioni e servizi.

Successivamente la Lombardia ha deciso di procedere aprendo su tutto il territorio regionale l’applicazione del modello della PIC dei cronici, senza altre iniziative di sperimentazione o territoriali o di patologia. Tutte le numerose difficoltà, lacune, contraddizioni e incongruenze applicative del modello della PIC, continuano ad essere dipanate (ma spesso non strutturalmente risolte), attraverso delibere di giunta, molte delle quali rinviano alla Direzione Generale Welfare le decisioni su questioni molto delicate (per esempio la decisione su come si organizza la governance delle reti di continuità clinico assistenziale). La progressiva centralizzazione delle decisioni è stata solo mitigata da iniziative intraprese alla fine del 2018: la creazione di un tavolo tecnico di carattere giuridico amministrativo, la creazione di un comitato di saggi (in cui spiccano un consulente esperto della LIUC di Castellanza e un consulente esperto del Cergas Bocconi  che é lo stesso scelto dalla ministra Grillo a far parte del rinnovato Consiglio superiore della sanità) e la sottoscrizione di un accordo con l’Ordine dei medici della Lombardia per procedere con valutazioni congiunte con l’assessorato (la DGR 754/2018 riporta il testo del protocollo di intesa con l’Ordine dei medici della Lombardia).

Questo modo di procedere pragmatico e analitico, continuamente fluido nella sua attuazione, frammenta tutti i fronti su cui si possono avanzare dei rilievi o delle critiche al modello e non permette di trovare interlocutori, anche perché é difficile ricondursi ad un confronto sul quadro generale.

Guai a fare oggi un bilancio sul successo o l’insuccesso del modello della PIC dei cronici a partire dal numero delle adesioni raggiunte, che non é poco tra i medici che hanno aderito alle cooperative dei MMG.  Per sua natura il processo in corso è destinato ad avere una durata pluriennale.

A questo punto è solo ai medici di medicina generale (e ai pediatri di libera scelta) e ai pazienti cronici che resta la responsabilità vera di implementare il modello della PIC, con la loro adesione.

E, indipendentemente dalle valutazioni di tipo clinico sull’appropriatezza del modello, sono chiamati a porsi questa domanda: qual è la ricaduta sul Servizio sanitario pubblico regionale del modo con cui la regione Lombardia ha scelto di realizzare la PIC dei cronici ?

La Regione Lombardia con la DGR 754/ 2018 ha recuperato la centralità del MMG per la PIC dei cronici, ma i MMG devono prendere atto che con la loro adesione esternalizzano la cura dei pazienti ad un sottosistema del servizio sanitario che resta sostanzialmente parallelo a quello della medicina per acuti e che ha una scarsissima parentela con il servizio pubblico. Questo non avviene in altre regioni, dove non é previsto il gestore e neanche il patto di cura e dove il paziente resta a carico del distretto della ASL. Dal canto loro, i pazienti devono prendere atto che, diventando clienti dei gestori, concorrono a determinare la valorizzazione delle loro aziende.

Questo coacervo di soggetti gestori molti dei quali privati (comprese le cooperative dei medici) resi idonei a fare i gestori, si somma ai numerosissimi soggetti privati che già operano per il SSR in qualità di erogatori. Non solo aumenta a dismisura il peso dei privati rispetto al pubblico, ma rende molto problematica (da parte pubblica) la gestione del sistema nel suo complesso: gli operatori privati saranno esposti a dinamiche di mercato non controllabili come la concentrazione e la penetrazione di aziende internazionali e multinazionali.

Oggi ai gestori spetta un compenso per la presa in carico che é differenziato a seconda dei livelli di gravità del paziente cronico e vige il criterio del rimborso delle prestazioni da parte della Regione. Sulla base di questo principio, ci sono gestori come le cooperative dei medici di base, che riescono a reclutare i pazienti, anche sulla base del rapporto di fiducia. In futuro (anche il DGR 754/2018 lo ribadisce), si procederà con una tariffazione onnicomprensiva, che renderà difficile a quelli che avevano pensato di fare i gestori rispettando la deontologia professionale, continuare ad operare a queste condizioni senza penalizzare i pazienti.

Non é escluso che, pur avendo reclutato i pazienti e godendo della loro fiducia,  queste aziende (comprese le cooperative dei medici) nell’impossibilità di reggere la competizione di mercato, non possano fare altro che essere assorbite/acquistate da società commerciali più  forti e determinate a fare profitti. Il bene dei pazienti potrà aspettare.

Anna Tempia

 

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