Le evidenze della necessità di una lettura di genere della salute sono molteplici e consolidate, ciononostante l’approccio di genere alla salute non rientra nell’analisi sistematica delle scelte di programmazione per gli interventi di promozione della salute. Persistono ancora stereotipi, veri pregiudizi di genere, nella ricerca biomedica, nella medicina, dallo studio dell’eziologia ai fattori di rischio e protettivi per la salute, dai sintomi alla diagnosi, dalle misure di riabilitazione e dei trattamenti alla valutazione dei risultati.
Rilevante è ancora la sottovalutazione dei bisogni di salute delle donne all’interno di una ricerca medica che è centrata sull’uomo e sulla sua realtà biologica e sociale; rilevante è ancora il pregiudizio scientifico che considera i processi morbosi delle donne con una prevalente derivazione biologica-ormonale e quelli degli uomini con una prevalente derivazione socio-ambientale e lavorativa” (Ministro della Salute On. Livia Turco 2007).
Una reale attenzione al problema salute di genere è sorta molto recentemente
Per prima nel 1988 l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), invita Nazioni e Organizzazioni Internazionali a valutare meglio i fattori di rischio che influenzano la salute delle donne e a sviluppare strategie di prevenzione per diminuire l’impatto delle malattie che in modo sproporzionato colpiscono le donne anziane come la malattia coronarica, l’osteoporosi e la demenza.
Nel 1991 la Direttrice dell’Istituto Nazionale di Salute Pubblica americano parla di comportamento discriminante dei cardiologi nei confronti delle donne, in rapporto alla diagnosi e terapia delle cardiopatie. Da questo momento in poi la critica della medicina dal punto di vista del genere si sposta dalla cardiologia ad altre branche come la psichiatria, la gastroenterologia, l’oncologia facendo sì che la Medicina di Genere non diventi una specialità a sé stante, ma un’integrazione trasversale di specialità e competenze mediche per formare una cultura e portare ad una presa in carico della persona che tenga conto delle differenze, non solo sotto l’aspetto anatomo-fisiologico, ma anche delle differenze biologico-funzionali, psicologiche, sociali e culturali e di risposta alle cure.
L’Italia, rispetto ad altre Nazioni Europee mostra una sensibilità importante al tema e nel 1999 nasce in Italia il gruppo di lavoro Medicina Donna Salute e successivamente, nel 2003, inizia l’elaborazione di linee guida per la sperimentazione clinica e farmacologica che consideri la variabile uomo-donna, anche per quanto riguarda l’utilizzo di farmaci, testati diversamente su uomini e donne.
Nel 2005 nasce a Milano l’Osservatorio nazionale della Salute della Donna- ONDA -(https://www.ondaosservatorio.it/ ) a cui è stato aggiunto “e di genere” che si è costituito in Fondazione con l’obiettivo di promuovere una cultura della salute di genere a livello istituzionale, sanitario-assistenziale, scientifico-accademico e sociale per garantire alle donne il diritto alla salute secondo principi di equità e pari opportunità.
Ma è del 2007 l’atto istituzionale più incisivo: il Ministero della salute (On. Livia Turco) approva il progetto “La Salute delle Donne”.(link www.ministerosalute.it sezione “Salute donna”)
In questo documento viene definito per la prima volta che il sesso e il genere non sono la stessa cosa, il primo costituisce un corredo genetico, un insieme di caratteri biologici, fisici e anatomici che producono una dicotomia maschio / femmina e il secondo rappresenta una costruzione culturale, la rappresentazione, definizione e incentivazione di comportamenti che rivestono il corredo biologico e danno vita allo status di uomo / donna.
Sesso e genere non costituiscono due dimensioni contrapposte ma interdipendenti: sui caratteri biologici si innesta il processo di produzione delle identità di genere.
In questo fondamentale documento viene evidenziato che la promozione della salute delle donne, per essere tale, necessita innanzitutto dei dati sulla prevalenza di malattie e disturbi nei due generi, ma anche dei dati sulle condizioni di lavoro e di vita, sui ruoli sociali e familiari, sulla natura e sulla qualità delle relazioni, sui vissuti delle donne. La Commissione Salute delle donne non solo ha lavorato su questi concetti di base, ma ha anche promosso, finanziato e definito specifici progetti. In esso viene evidenziata una Medicina non solo a favore delle donne, ma di maggior appropriatezza anche per gli uomini, tutelando la salute sia delle donne che degli uomini e la loro interdipendente relazione.
Dopo una fase di elaborazione e di progetti (bandi AIFA per la sperimentazione di farmaci, introduzione da parte dell’ISTAT della cosiddetta sesso-stratificazione come strumento metodologico per l’analisi dei dati epidemiologici, al fine di identificare caratteristiche differenti a seconda di indicatori specifici di genere), a livello istituzionale un nuovo traguardo è delineato dalla legge Lorenzin pubblicata nel gennaio 2018, dove, all’articolo 3 (Applicazione e diffusione della medicina di genere all’interno del Sistema Sanitario Nazionale – LEGGE 11 gennaio 2018, n. 3 Delega al Governo in materia di sperimentazione clinica di medicinali nonché disposizioni per il riordino delle professioni sanitarie e per la dirigenza sanitaria del Ministero della salute)
viene disposta la produzione di un piano volto alla diffusione della medicina attenta alle differenze per sesso e genere.
Il Piano, nella versione aggiornata del 6 maggio 2019 con decreto del Ministro della Salute, sentita la Conferenza Stato-Regioni e avvalendosi del Centro nazionale di riferimento della medicina di genere dell’ISS (Istituto Superiore Sanità), intende garantire la qualità e l’appropriatezza delle prestazioni erogate dal SSN in modo omogeneo sul territorio nazionale, mediante divulgazione, formazione e indicazione di pratiche sanitarie inerenti alla ricerca, alla prevenzione, alla diagnosi e alla cura basate sulle differenze derivanti dal sesso e dal genere.
Una vera e propria legge finalmente, con un Piano nazionale e con decreti attuativi che devono essere avviati. Importante perché, in questo momento di recessione non solo economica, ma anche sociale ed etica, potrebbe portare ad una rivoluzione culturale mediante cambiamenti organizzativi, strutturali e umanistici.