L’intervento sulla pandemia Alain Finkielkraut “Il nichilismo non ha ancora vinto” è stato ripreso anche in Italia da molte testate tra cui il Foglio e la Repubblica: ne riportiamo una sintesi.
“La fluidità, la mobilità, l’ubiquità di cui siamo stati tanto innamorati negli ultimi anni si sono sciolte in un virus. La nostra realtà ha cominciato a somigliare a un film catastrofico. Il movimento è stato sostituito dal confinamento, e, volente o nolente, ci siamo sottomessi all’imperativo che riassumeva per tutti i millennial lo spirito di reazione: “Resta!”. La solidarietà stessa ha cambiato natura. Non è con l’effusione che si testimonia l’apprezzamento verso gli altri, ma con la distanza. Il gesto fraterno, ora, è il gesto barriera. “Se tutte le persone nel mondo si lavassero le mani” diventa lo slogan del vivere-assieme. Lo spirito civico consiste nel disertare lo spazio pubblico e il principio evangelico nel fuggire gli uni dagli altri…Viviamo in una società individualista dove la disciplina è spontaneamente considerata come una macchina del potere, Come essere uniti in queste condizioni? Alla richiesta di restare a casa propria, i più abbienti tra i borghesi e i bobò (corrisponde in italiano ai radical chic) delle grandi metropoli hanno risposto facendo i bagagli e partendo, consapevoli del rischio di diffondere il virus lì dove non era ancora arrivato. Rimini è diventato uno dei primi focolai di infezione in Italia dopo la fuga di numerosi milanesi verso le loro residenze secondarie sulla costa Adriatica. Nei quartieri che vengono chiamati “popolari” da quando il vecchio popolo non abita più lì, il traffico continua, i controlli di polizia degenerano in scontri, alcuni giovani denunciano una malattia o un complotto dei “Bianchi” e i sindaci esitano, nonostante gli assembramenti notturni, a imporre il coprifuoco, perché non avrebbero i mezzi per farlo rispettare.
……L’ipotesi era che sarebbero morti i più vecchi, i più vulnerabili, le bocche inutili, insomma. Ma non abbiamo voluto questa selezione naturale. E se il confinamento è sempre più rigido, è proprio perché si vuole evitare di intasare gli ospedali e di fare la selezione tra i malati: questo qui no, è quasi senza respiro; questo qui sì, perché ha la forza dell’età. La vita di un anziano vale tanto quella di una persona in pieno possesso delle sue forze. L’affermazione di questo principio di uguaglianza in un periodo tormentato come quello che stiamo attraversando mostra che il nichilismo non ha ancora vinto e che restiamo una civiltà. Però, una delle cose più terribili di questo momento spaventoso, è che i malati muoiono soli, che i loro cari non possono dire loro addio e che le cerimonie di lutto sono ridotte al minimo indispensabile.
…E poi riscopriamo la virtù delle frontiere, ma è importante che i paesi europei non reagiscano in ordine sparso, e necessitiamo di una cooperazione mondiale dei virologi. Bisogna avere il coraggio di affrontare questo evento nella sua contingenza. E’ inevitabile. Ci sta cadendo addosso. La globalizzazione è senza dubbio in discussione, ma la peste asiatica si è diffusa in Europa anche nel Medioevo. Smettiamola dunque di fare i furbi e di rinchiudere la realtà nei nostri sistemi. Ricordiamoci delle parole di Péguy: “Tutto è immenso, eccetto il sapere”.
Si dice che questo tempo di crisi sia anche quello dell’indignazione permanente: ogni giorno c’è una quota di colpevoli designati. “Nihil est sine ratione”. Il principio di ragion sufficiente regna sulle nostre rappresentazioni. Tutto deve essere calcolato e per ciò che sembra sfuggire al calcolo, deve esserci un colpevole. Così alcuni possono pensare la catastrofe soltanto nel registro dell’accusa e nella modalità dello scandalo. Chiedono conto, esigono con un tono minaccioso la generalizzazione di un farmaco di cui ignoravano l’esistenza fino a una settimana prima e si indignano per la penuria di mascherine come si indignavano ieri per l’eccessiva quantità di queste dopo l’epidemia dell’influenza H1N1. Allo stesso modo, quelli che avevano preso coscienza del virus dell’Aids in ritardo, denunciando un’epidemia di paura, hanno in seguito reclamato un processo di Norimberga per le autorità accusate di lentezza, di tergiversazioni e persino di aver lasciato morire deliberatamente gli omosessuali. Dimentichiamo che “gli uomini avanzano nella nebbia”, secondo la calzante espressione di Milan Kundera. E per rendere il compito di coloro che ci governano ancor più difficile, facciamo di loro i capri espiatori delle nostre paure primarie, li trasciniamo davanti ai tribunali della stupidità sovraccarica di informazioni, e vogliamo obbligarli a prendere decisioni che in seguito gli rimprovereremo, con la stessa arroganza, di aver preso.
Una delle lezioni da apprendere in questi tempi di confinamento è approfondire la propria vita interiore che non va considerato un lusso borghese (sono molti i borghesi che fuggono freneticamente il loro vuoto interiore) ma un’opportunità. Un’altra lezione ci viene dalla coscienza di non essere i soli, forse ritroveremo anche il gusto di condividere la Terra, il rispetto delle distanze e il senso dell’indisponibile. A Venezia, il mare è tornato a essere blu. Il riposo forzato dell’economia e dei trasporti è uno shabbat insperato per la Terra. Quest’ultima si rimette in forma e le altre creature respirano. Inframezzato soltanto dal canto degli uccelli, il silenzio, inoltre, ha provvisoriamente ripreso possesso di tutti i luoghi in cui era stato cacciato dall’implacabile baccano. Veniamo anche a sapere che a Pechino, il primo effetto della lotta contro la pandemia è un crollo spettacolare degli ingorghi stradali e una quasi sparizione della cappa di inquinamento che nascondeva il cielo. “L’uomo è ovunque, con le sue grida, il suo dolore e le sue minacce. Tra così tante creature riunite, non c’è più spazio per i grilli”, scriveva Albert Camus. Se l’uomo, con il confinamento, prende coscienza di non essere il solo, forse, quando la macchina ripartirà, conserverà nelle orecchie la bellezza del silenzio. Forse ritroverà anche il gusto di condividere la Terra, il rispetto delle distanze e il senso dell’indisponibile. Non oso crederci.