PRO
Come aveva fatto Christopher Nolan con la Seconda guerra mondiale, ora anche Sam Mendes, per la Prima, si affida ai ricordi famigliari, per raccontarli in un film, prima che sbiadiscano anche nella sua memoria, oltre a quella delle generazioni successive ai testimoni, che sono cresciute sentendosi raccontare mille storie dai propri nonni.
In 1917 è lo spazio a diventare centrale. Un territorio ormai sconvolto da anni di guerre feroci, lungo trincee scavate in un fronte quasi immobile, passando per le linee amiche, ma anche quelle nemiche, per portare a termine una missione disperata eppure apparentemente banale: inviare un messaggio (cruciale) a un altro battaglione. Non una guerra verticale, aerea o marittima, come in Dunkirk, ma ad altezza soldato, uno sforzo che coinvolge l’esercito, e in particolare due giovani soldati che devono percorrere questo spazio come fosse una gara atletica, ovviamente nel minor tempo possibile, vista l’urgenza della missione.
Inutile aspettarsi una visione d’insieme del conflitto, vista dall’alto, qui si corre, ci si lancia nei fiumi, si striscia lungo il terreno fangoso o arido, sublimando l’emozione attraverso una missione personale all’interno dell’enorme schema complessivo di un conflitto che cambiò il mondo. Dalla retorica della resilienza alla retorica dell’eroe solitario che si sacrifica per il bene comune, con un ideale unico piano sequenza scelto da Mendes (e il grande direttore della fotografia Roger Deakins) per aumentare l’immedesimazione, il realismo di questo immane sforzo dei protagonisti. Il proprio dovere, costi quel che costi, mettendo da parte ogni altra cosa, la paura e la razionalità di una missione con poche possibilità di riuscita. Un’operazione che poteva risultare algida esibizione di stile, ma coinvolge fin dalla prima inquadratura, dalla prima bucolica e pacifica immagine di questi due ragazzi “troppo giovani per morire”. di Mauro Donzelli
CONTRO
Strana sensazione vedere 1917 e pensare a DR JECKYLL E MR HYDE. In particolare, a quando nel finale a furia di trasformazioni, Hyde non riesce più a tornare Jeckyll. E’ infatti quanto accade a Sam Mendes, passato da film meravigliosi come AMERICAN BEAUTY e REVOLUTIONARY ROAD a intrattenimenti come gli ultimi Bond. Uno crede di restare sé stesso, ma a quanto pare non è così. La riprova è 1917, war movie sulla Grande Guerra. Trama semplicissima. Due soldatini inglesi (uno è George Mckay il meraviglioso giovane attore di PRIDE e CAPTAIN FANTASTIC anche qui stupendo) vengono inviati da un battaglione all’altro per avvisare di bloccare un attacco trappola che altrimenti si risolverebbe in una carneficina. Attraverseranno tutto l’orrore possibile (topi, cadaveri, ogni miseria umana) per compiere la loro missione.
Mendes per rendere autoriale il film, lo gira in piano sequenza, senza stacchi apparenti come un’unica sequenza. A dominare è, dall’ inizio alla fine, l’effetto Bond. Una specie di corsa a ostacoli tra mille pericoli dove tutto appare costruito e ricostruito. Dove le mille sfighe progettate da una sceneggiatura che pare un videogame sono risolte visivamente come fossimo in uno 007. Il test è la caduta nella cascata, apoteosi di effetti speciali insensati in un film su questo tema, sicché anche le parentesi toccanti, e ce ne sono, non arrivano al cuore, restando in superficie. L’unico momento memorabile è l’uccisione silenziosa di un soldato tedesco in controluce. Il resto passa e va, magari commuoverà al momento, ma fuori dal Cinema te lo dimentichi. A differenza di ORIZZONTI DI GLORIA di Stanley Kubrick, di UOMINI CONTRO di Francesco Rosi e di LA VITA E NIENTE ALTRO di Bertrand Tavernier, tre opere immense sulla Grande Guerra che mi accompagneranno per sempre. di Carlo Confalonieri