Perché vederlo? Per tante ragioni:
1) fa cinema col cuore, non con la testa
2) muove la macchina da presa a 120 battiti al minuto, spesso a tempo di musica pop
3) dirige gli attori come nessun altro in circolazione, valorizzandoli in tutte le sfumature
4) ha elevato le tematiche gay a cinema maiuscolo, psicologicamente complesso come per altro Almodovar, Chéreau, Techine, Honoré, Sciamma e molti altri
5) le sue madri strepitose sono oggetto d’odio amore in un Edipo freudiano creativo
6) è un geniale enfant prodige che in dieci anni, a soli 30 anni, ha girato 8 film tutti belli bellissimi o capolavori (LAWRENCE ANYWAYS, manifesto della sessualità trasversale e TOM A’ LA FERME). Alla categoria dei bellissimi appartiene il suo penultimo, travagliatissimo al montaggio, ma grandioso nel fondere verità e finzione. Quella della vita e quella del cinema, una speculare all’altra, rispecchiandosi la prima nella deformazione della celebrità e della fama. Dolan comunque non scherza e se uno si salva l’altro ci lascia le penne. Quale dei due non si dice, se l’attore assurto alla notorietà o il suo fan bambino che gli scrive e a cui il divo risponderà in un carteggio. Un po’ come quello fra Brigitte Bardot ed ERASMO IL LENTIGGINOSO nell’omonima zuccherosa commedia hollywoodiana. Di zucchero in Dolan non vi è ombra. Siamo nel regno dello Xanax e del whiskey, che le madri tracannano per sfoggiare la loro infelicità di fronte ai figli. Qui le mommy sono due: Natalie Portman, madre di Rupert il baby fan (è il prodigioso Jacob Tremblay di ROOM) e Susan Sarandon del divo Donovan (Kit Harington). Entrambe da brivido. Il bimbo diverrà a sua volta attore, pubblicherà le lettere di Donovan e in un’intervista alla brava Tandhie Newton, prima scocciata poi comprensiva, racconterà in flash back tutta la storia. Nel montaggio si sa che è stata sacrificata Jessica Chastein e il suo personaggio, ma è rimasta la monumentale Kathy Bates che si licenzia da agente di Donovan quando questi, per nascondere la propria omosessualità, si nega e si nasconde dietro un’identità sessuale che non gli appartiene. Anche il piccolo Rupert ne saprà qualcosa, ma da adulto sceglierà la verità. Star system contro vera vita, per Dolan nel suo film produttivamente più ambizioso e di affaccio ad Hollywood. Intimo e non kolossal, forse poteva diventare una serie, così com’è sicuramente riuscito, pieno di pathos ed emozioni. E di tanto cuore, quello che sarebbe auspicabile usassero tanti critici professionisti che vedono i film con la testa e il paraocchi, facendo a pezzi o sminuendo film bellissimi in circolazione. Che di questo passo, allontanando gli ultimi spettatori rimasti, fra un po’ vedranno da soli in sale vuote, mentre verranno spostati dalle le loro rubriche ormai inutili alla redazione degli oroscopi o delle ricette di cucina.