Nel Settecento la meta del Grande viaggio era l’Italia, ammirata come grande centro di cultura e come custode dei capolavori dell’arte antica e moderna. A dare forma e significato al Grand Tour furono gli inglesi seguiti dai francesi, tedeschi, olandesi e Russi. Inizialmente a fare questi viaggi erano uomini della nobiltà o della ricca borghesia; la presenza delle donne era clandestina o sotto forma di accompagnatrice. Ma nella seconda metà del Settecento la presenza delle donne non fu più clandestina e occasionale; il numero di donne nobili, ricche e intellettuali crebbe significativamente incrementata anche dalla ricerca di una vita diversa da quella imposta dal loro ceto sociale. Occorrerà attendere la metà dell’Ottocento perché il viaggio si apra pienamente alle donne a prescindere dal loro censo di appartenenza. Questa storia affascinante, narrata in modo efficace, la possiamo leggere nel libro di Attilio Brilli e Simonetta Neri “Le viaggiatrici del Grand Tour. Storie, Amori e Avventure”, (il Mulino, Bologna). La trasformazione del Grand Tour avvenuta nel corso del tempo è lo specchio dei cambiamenti degli interessi, dell’allargamento delle coordinate geografiche (Napoli non è più l’estremo limite meridionale degli itinerari, nelle seconda metà del Secolo ci si spinge in Sicilia, Grecia); ma la grande novità sottolineata dagli autori del libro – Brilli e Neri – fu la crescente presenza delle donne, le quali portarono nel Grand Tour varietà di interessi, punti di vista più ampi e originale curiosità. Nel racconto delle storie delle viaggiatrici si mescolano le scelte personali per dare una svolta alla propria vita o per sviluppare con successo la proprio inclinazione artistica con l’interesse volto a scoprire e ad ascoltare la vita delle persone che incontravano. Accadde che scrivessero resoconti della propria esperienza fornendo dettagliate informazioni utili alle viaggiatrici e viaggiatori futuri.