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Recensione di Carlo Confalonieri – “Le ereditiere”

LE EREDITIERE

Nel cinema latino-americano il tema dell’omosessualità spesso diventa metafora della condizione di un paese, come in IL LUOGO SENZA CONFINI di Arturo Ripstein, IL BACIO DELLA DONNA RAGNO, TI GUARDO di Lorenzo Vigas, UNA DONNA FANTASTICA di Sebastian Lelio. Un argomento sotterraneo in quei luoghi, specchio di un disagio sociale e politico. Il notevole debutto del paraguayano Marcelo Martinessi, da poco scelto come rappresentante all’Oscar per il miglior film straniero, segue questa via. Il ritratto di Chela e Chiquita due “signorine” agées di buona famiglia che convivono da trent’anni nella bella casa ormai usurata (come il loro rapporto) ereditata dalla prima, mascherando, ma solo fino a un certo punto la loro relazione, fotografa in filigrana la stanchezza di una nazione logorata dalle dittature e ancor di più da una trasformazione del tessuto economico e sociale.

“Quelle due” a differenza del film di William Wyler, sono infatti accettate, pur frequentando un giro di lesbiche locali, dalle signore della borghesia, mogli o vedove di professionisti e latifondisti.  Chela, dopo che la più intraprendente Chiquita va in carcere per truffa per salvare la loro disastrosa situazione economica, (la villa si spopola di quadri e argenteria ma resta la domestica come facciata di un passato benessere) finisce un po’ per caso un po’ per bisogno a far la taxista con la vecchia Mercedes, guidando senza patente. Inizia così un tardivo risveglio, sottratta agli psicofarmaci somministrati da Chiquita, dal letargo domestico e dalla dipendenza dalla compagna.

Per le strade di Asuncion la donna ritrova faticosamente sé stessa, la voglia di vivere e persino il desiderio nei confronti nella più giovane e disinibita Angy (Ana Ivanova quasi una sosia dell’indimenticabile splendida Florinda Bolkan). Un paese metaforizzato attraverso una storia privatissima, che sarebbe piaciuta al Fassbinder di VERONIKA VOSS, ma che Martinessi allontana dal melodramma. Prevalentemente in interni chiaroscurati, più di sguardi che di parole, affidati alla straordinaria Ana Brun, premiata alla Berlinale come migliore attrice.

di Carlo Confalonieri

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