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Che cosa mi metto questa mattina?

COSA MI METTO QUESTA MATTINA?

“Il vestito riguarda tutta la persona, tutto il corpo, tutti i rapporti del corpo con la società: questo spiega perché i grandi scrittori si sono spesso occupati dell’abbigliamento nelle loro opere. Su questo tema troviamo pagine molto belle in Balzac, Baudelaire, Poe, Michelet, Proust; costoro presentivano che il vestito è un elemento che impegna in qualche modo tutto l’essere di una persona” (Roland Barthes,” Il senso della moda. Forme e significati dell’abbigliamento”, Seuil, Paris, 1975)

 Che cosa mi metto? Ce lo chiediamo più o meno tutti, almeno una volta al giorno, anche quando conosciamo già la risposta. Ce lo chiediamo se usciamo a cena, se andiamo a una festa o alla Scala, se abbiamo un incontro di lavoro.  Apriamo l’armadio e ci si apre un mondo, se siamo disposte a vederlo. Dentro di noi i sentimenti più diversi e controversi fino allo sconforto che tutte conosciamo del non-ho-niente-da-mettermi o del non-so-cosa-mettermi. I pantaloni blu con la camicia a quadri o il tailleur beige? Un colore o nero integrale? Riusciamo ad infilarci più o meno soddisfatte o disinteressate qualcosa, forse ci guardiamo allo specchio… o forse lo evitiamo! Ci possiamo sentire bene, piacerci, o magari no. Ci interroghiamo sul nostro aspetto anche quando dichiariamo che non ce ne importa nulla. Chissà perché!..

 Cosa raccontiamo e manifestiamo dunque a noi stessi e agli altri, attraverso il nostro linguaggio estetico?

Cambiamo nel corso degli anni e cambiamo ogni giorno anche a seconda dell’umore. Cambia il nostro modo di relazionarci proprio alla percezione che abbiamo di noi, del nostro corpo, della nostra immagine, quella più immediata e visibile e quella più profonda che deriva dalla nostra storia. Che sentimenti abbiamo quando non ci riconosciamo più in una fotografia che ci ricorda come eravamo e come non siamo più?  Cambiamo, e cambia anche il modo in cui ci relazioniamo al nostro guardaroba e a ciò che desideriamo indossare, magari accorgendoci che quel che mettiamo o la pettinatura che portiamo non ci corrisponde più! Chissà perché. Dunque, anche l’orientamento verso fogge e stili e scelte cromatiche muta con noi.

 Cambia il nostro corpo e la percezione che ne abbiamo, il nostro gusto estetico. Ci arricchiamo delle nuove esperienze e significati che la vita e noi stesse ci siamo date, di nuova consapevolezza. Ci adattiamo con senso critico alle esigenze dei contesti lavorativi e sociali, ai ruoli che ci competono e che ci scegliamo. Ci interroghiamo sulla nostra autonomia psichica, culturale, emotiva, sui perché di tanti momenti in cui ci siamo sentite inadeguate, in cui abbiamo provato o proviamo un sordo timore di sentirci ridicole o vergogna perché non ci sentiamo bene nel nostro corpo, giusto o sbagliato che sia.

Prendiamo atto che una fase della vita è passata, che i figli se ne sono andati, che una malattia o una perdita importante ha stravolto la nostra vita e quel che prima apparteneva per abitudine a un nostro linguaggio espressivo di noi -sì, anche estetico- può perdere valore e capita che non troviamo niente per sostituirlo. Il vuoto? Assenza di desiderio? Ribellione? Nuove prospettive?

 Ci esprimiamo tutti attraverso questa dimensione estetica che è un linguaggio nel contempo soggettivo e sociale, profondo e idiomatico e suscettibile di continue evoluzioni. Comunichiamo di noi anche attraverso l’abito (nelle sue variegate accezioni) che veicola e permette di comunicare qualcosa di noi e perciò diventa interessante da indagare e conoscere. È un tramite, un lessico, un’occasione, un’infinita narrazione. Noi tutti nasciamo con un “corpo dato” che è il nostro. Cresciamo e viviamo dentro complesse e necessarie relazioni affettive. Impariamo che l’Altro è altro da noi. A partire dalle relazioni originarie riceviamo le cure che ci fanno crescere in un clima di nutrimento affettivo gratificante e che veicola uno sguardo amorevole su di noi, fondante.

Questo sguardo quotidiano dell’Altro, che chiamerei “sguardo-multitattile” nel senso inteso dai neurobiologi, ci riconosce persone, amate in quanto noi. Ci fa sentire che esistiamo e dunque ci sentiamo esistenti in quella preziosa dimensione riflessiva d’intimità di cui facciamo in ogni momento esperienza, dentro di noi e con gli altri e che è anche corpo. Incarniamo il nostro corpo-sensibile immersi in un’esperienza estetica, nel nostro percepirci “noi”.

E mai come in quel delicato momento che è il passaggio dal sonno alla veglia, siamo potenzialmente pronti a intercettarci nel nostro “corpo sensibile”. Che cosa mi metto questa mattina? rimanda proprio a questo momento intimo e peculiare per ciascuno di noi, incipit che ci invita a porre uno sguardo al microscopio per scoprire come lo viviamo e quanto ci accompagni anche nei processi di scelte estetiche che compiamo, più o meno consapevoli, nel nostro quotidiano.

 Cosa disvela di noi la nostra intima dimensione estetica? Scoprire come ci relazioniamo ad essa nel suo complesso ci permette di scoprire molto di noi e della nostra storia sensoriale, relazionale, identitaria unica. Quali narrazioni, quali memorie, scoperte e nuovi risvolti evolutivi sono possibili a partire da questo sguardo?

A partire da queste e molte altre considerazioni attraverso la mia esperienza clinica e personale, ho concepito un approccio psicoterapico che si occupa nello specifico di queste dinamiche ed è parte di una mia ricerca sempre in fieri che indaga aree attualmente di grande interesse di neurobiologi, neurofenomenologi e artisti.

Scopriremo insieme quali narrazioni e risvolti saranno possibili!

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