Le statistiche indicano che le donne anziane, convenzionalmente dai 65 anni in su, rappresentano una percentuale considerevole della popolazione, hanno vita più lunga degli uomini, circa 84,9 anni vs 80,2 per gli uomini, ma presentano condizioni di salute peggiore, convivendo per anni con malattie croniche spesso invalidanti che determinano limitazioni funzionali (circa il 24% rispetto al 14% degli uomini) e quindi perdita di autonomia. Oltre a questi aspetti prettamente sanitari si associano quelli socio-economici dovuti a solitudine e povertà.
Questi dati già noti da tempo, sono stati evidenziati dalla pandemia da Covid in modo drammatico. Gli anziani malati o disabili o con scarsa autonomia, prima del Covid erano ‘al sicuro’ nelle RSA. In tali residenze la maggioranza degli assistiti è rappresentata da donne, soprattutto delle fasce di età più elevata che sono coloro che presentano le condizioni più critiche di salute con percentuali in aumento negli ultimi anni di patologie degenerative osteoarticolari, diabete, ipertensione, M.Alzheimer. Si configura già da tempo un problema rilevante di sanità pubblica che coinvolge gli anziani e il loro gruppo famigliare spesso esiguo numericamente o del tutto assente. L’applicazione della legge 23 sulla presa in carico dei malati cronici e la successiva pandemia da Covid-19, ha messo a nudo tutta la debolezza del metodo applicato alla gestione degli anziani fragili. I modelli organizzativi e strutturali delle RSA in gran parte non sono stati adeguati ad una tale emergenza, mettendo in grave pericolo soprattutto la popolazione più fragile. Di fronte ad una decimazione degli anziani nelle RSA e non solo (pensiamo ad es. a coloro che vivono da soli nelle case popolari delle periferie), da un lato va amplificata e diffusa la denuncia dell’accaduto, in attesa degli esiti delle inchieste avviate, dall’altro avviata una concreta riflessione sui modelli abitativi nella società attuale che vede gli anziani spesso soli, o con figli e figlie, in particolare, impegnati nel lavoro, quando non lontani all’estero.
E’ necessario impostare politiche abitative alternative che da più parti vengono sperimentate, ma che nella nostra cultura, presentano molte resistenze e difficoltà di sviluppo e diffusione. Ad esempio modelli abitativi incentrati sull’abitazione ordinaria, arricchita tuttavia da un sistema di prestazioni aggiuntive, di carattere fisico, tecnologico e sociale, in grado di sostenere le condizioni di maggiore fragilità che caratterizzano la vita in età avanzata. Tipologie diversificate di intervento sono oggi già disponibili anche nel nostro paese derivate da esperienze di cohousing o co-residenza attivate in particolare nel nord-Europa, o organizzazioni residenziali miste, con diversi livelli di assistenza e sostegno domestico (soluzioni in proprietà o in affitto, con o senza servizi, per soli anziani o per fasce d’utenza mista e intergenerazionale, dotate o meno di tecnologie domotiche, in centro e in periferia). Affrontare il problema dell’abitare degli anziani necessita avere una prospettiva di genere poiché esistono importanti differenze tra uomini e donne in termini di condizioni socio-economiche, di ruoli rivestiti e di situazioni sperimentate nel corso dell’età avanzata. Le donne sono potenzialmente più soggette a vivere da sole e a ritrovarsi in condizioni di povertà in età avanzata, e trascorrono in media una parte maggiore della propria esistenza con una limitazione funzionale di qualche tipo. Al contempo, esse costituiscono la grande maggioranza dei prestatori di cure, e sono nettamente sovrarappresentate in quanto beneficiarie di cure, anche tenuto conto della loro età media più elevata.