“Io vivo sola, non ho famiglia e in genere non penso molto a questo. Ma da quando la nuova pandemia ci forza a distanziarci socialmente ho iniziato a sentirmi sola. Sento la mancanza di vedere persone, conversare abbracciarsi, passare il tempo con gli amici”. Questa la testimonianza di una donna over 65; ma il tono e le parole sono quelle di molte altre persone che vivono da sole in questo periodo. L’impossibilità di vedere persone, abbracciarsi, passare il tempo con amici e parenti porta a guardare al proprio vivere con occhi diversi: la vita appare più simile alla sopravvivenza che al vivere. Il messaggio trasmesso da queste persone si condensa in questa amara constatazione.
La solitudine non è solo un sentire, è un segnale, un avvertimento lanciato da alcuni agli altri esseri umani; un grido per cercare relazioni, poiché è ampiamente accertato che le relazioni sono essenziali per la sopravvivenza. La solitudine spesso non è una esperienza che si sceglie.
I traumi da corona virus aggravano le condizioni di tutti gli esseri umani, ma sono assai più devastanti per le persone sole e che hanno difficoltà a interagire, a comunicare usando i mezzi che la tecnologia offre; strumenti che oggi si rivelano essenziali in molti casi per la sopravvivenza. Mi sembra che si configurino due universi, uno formato da coloro che non sono raggiungibili, chiusi nelle proprie case, con legami esigui o nulli con il mondo esterno; e un altro composto da coloro che pur costretti a stare a casa riescono ad interagire con l’esterno, benché mutato ma pur sempre “esterno”.
Gli scienziati dimostrano che l’isolamento aumenta, tra le persone più vulnerabili, il rischio di contrarre malattie e tali effetti negativi possono manifestarsi in vari modi e con morbilità differenti sia per la salute fisica sia psicologica. Altri studiosi hanno come obiettivo la conoscenza delle conseguenze e degli effetti devastanti per le persone rimaste isolate anche quando l’emergenza sarà finita, poiché altre catastrofi, come l’olocausto, dimostrano che i meccanismi e i comportamenti messi in atto durante l’isolamento continuano a essere presenti e segnare la vita delle persone.
A questa ampia attività scientifica dobbiamo guardare non solo per l’individuazione dei rischi da post trauma e per gli effetti a lungo termine, ma anche per l’aiuto che può offrire nel prevedere i rischi e quindi va visti come fattore protettivo. Da queste indagini e dalle indicazioni che ne derivano anche le istituzioni possono farne derivare proposte e istruzioni da dare alla cittadinanza, offrire delle soluzioni, seppur parziali. L’esperienza della città di Toronto in Canada, colpita duramente durante l’epidemia della Sars del 2003, varrebbe la pena che fosse diffusa più ampiamente anche per gli aspetti sopra accennati, vale a dire per l’aiuto che deriva da quella esperienza e dalle ricerche che ne hanno studiato le conseguenze derivanti dall’isolamento.
Crediamo che la ricerca promossa dal CNR su tali temi vada in tale direzione. L’indagine Mutamenti Sociali in Atto-COVID19 si legge: ha lo scopo di esplorare e analizzare gli effetti psicosociali del protrarsi nel tempo del vivere socialmente isolati e della stretta convivenza nelle proprie case, per poi definire interventi a tutela del benessere della popolazione. (www.irpps.cnr.it/musa/msa-covid-19/)