Negli ultimi anni è stato scritto molto sulla sessualità delle persone anziane. Ciò è dovuto epidemiologicamente al numero sempre più crescente di over 65 presente e attivo nella società, così come al cambiamento sociologico della società e al numero di separazioni e divorzi tardivi, che rimette in gioco la possibilità, se la salute non abbandona, che parti di se stessi a lungo represse riprendano “vita” o forse, più semplicemente, è dovuto a questa nuova generazione di anziane e anziani che non riescono proprio ad adeguarsi agli stereotipi che hanno accompagnato finora la società e le generazioni che li hanno preceduti.
E’ difficile orientarsi nei vari aspetti che concernono la vita sessuale in genere, ma lo è ancora di più quando si tratta di approfondire questo tema nella terza fase della vita di un individuo.
Di certo non si può essere qui esaustivi e conclusivi, ma appare importante stimolare alcune riflessioni, cercando anche di evidenziare le differenze che caratterizzano ad ogni età il vissuto femminile della sessualità e che, dopo i 60 anni, possono incidere in modo significativo sull’approccio individuale alla vecchiaia.
Numerosi studi dimostrano l’assodata efficacia del fare sesso anche in tarda età, anzi sembrerebbe che, se vogliamo ridurre l’insorgenza di demenza, di ictus, di dolori, di atrofia vaginale, sia auspicabile proseguire con una attività sessuale, adeguata e composta attorno all’età, ma presente e continua.
Negli articoli pubblicati in precedenza su questo sito si è già accennato a questi aspetti, ma ciò che continua a mancare è una narrazione personale che consenta di individuare alcuni comuni denominatori, che permettano di delineare l’attuale tracciato culturale e diano una fotografia delle reali motivazioni che producono il ritirarsi dall’attività sessuale, nonostante fiumi di articoli di esperti, di medici, di psicologi, di sessuologi, la magnifichino come “un toccasana” per il benessere dell’individuo a tutte le età e in particolare nella terza età.
Un punto importante da cui partire è il precedente articolo della psicoterapeuta Eugenia Omodei Zorini “Riflessioni sulla sessualità degli anziani” pubblicato su questo sito alla voce “Straziami ma di baci saziami”, in cui viene toccato un aspetto importante: la forza antagonista tra sessualità e attaccamento, cosi presente nelle relazioni di lunga data e così difficile da gestire. Chissà perché, ma dopo tanti anni può sembrare che fare sesso sia una “mania” dell’uno o dell’altro, oppure che sia difficile mantenere viva l’attrazione se si sono spostate l’attenzione e le proprie pulsioni verso la gratificante e confortante sicurezza dell’attaccamento.
Eppure, mantenere viva un’intimità sessuale, anche se svolta in modi diversi da prima, rinsalda la relazione tra partners oltre che fare bene fisicamente.
La diversità del vissuto femminile rispetto a quello maschile va esplorata: l’uomo ancora troppo legato alla prestazione, al soddisfacimento finale che può essere ostacolato da una riduzione di potenza e spesso in difficoltà a lasciarsi andare ad un approccio lento, carico di scambi gestuali come carezze, baci, tenerezze. Mentre la donna è più propensa ad una sessualità composita in cui l’atto finale è sì il coronamento, ma all’interno di un percorso di unione di due corpi, di esplorazione, di conoscenza che passa attraverso un’esperienza sensoriale dove tatto, olfatto, udito e gusto portano ad una fusione in cui il resto del mondo non esiste più.
Queste differenze possono depauperare l’intimità di una relazione e condurre ad una rassegnazione per abitudine. Qualcosa che, per citare lo psicoterapeuta Massimo Recalcati, “ritiene illusoriamente che lo Stesso sia la morte del Nuovo e il nostro tempo, sempre più mercificato, tende opporre la vita effervescente del Nuovo al grigiore spento dello Stesso”.