Nel frattempo, grosso modo dal 2009, sopravviene una crisi economica mondiale che, soprattutto per noi, non accenna a finire.
La disoccupazione, il costo delle abitazioni, la precarietà del posto, l’esiguità delle remunerazioni, oltre alla fragilità dei rapporti di copia, colpiscono soprattutto i giovani, costretti a rinviare sempre più in là matrimonio e figli. Accade però in questi frangenti un fenomeno che in Italia è stato particolarmente precoce, incisivo e diffuso. Avviene una spontanea equiparazione economica tra generazioni che, ammortizzando l’impatto della recessione, evita al nostro Paese le drammatiche conseguenze della crisi americana e inglese. I nonni, la generazione fortunata, che ha fruito di buoni stipendi, che possiede l’abitazione in cui vive, che ha accumulato qualche risparmio, riversa le sue risorse sui figli in una gara di generosità senza precedenti. Un fenomeno generazionale che, a riprova della sua importanza, è stato analizzato dai principali economisti nel Corso del Festiva dell’Economia di Trento del 2014.
I nuovi nonni offrono alle famiglie dei figli tre tipi di sostegno:
1) un consistente aiuto finanziario
2) un supporto organizzativo che copre in buona parte le insufficienze dei servizi sociali, basta pensare ai tre mesi di chiusura delle scuole d’estate o
all’accompagnamento dei bambini a scuola, agli impianti sportivi, agli ambulatori medici.
3) infine, una presenza affettiva, essenziale nei momenti di crisi della coppia Genitoriale
Ma, come dicevo, la vicinanza accresce l’attrito e la conflittualità per cui i rapporti tra nonni e figli sono attualmente più intensi ma anche più problematici rispetto al passato. Soprattutto nel corso delle separazioni coniugali, il supporto dei nonni è essenziale. I nipoti trovano, nella loro presenza, un insostituibile senso di sicurezza e di continuità. Problematico risulta invece il ritorno del genitore rimasto solo (soprattutto il padre) nella casa dei suoi genitori. Una regressione, che se permanente, lo trasforma da genitore a figlio e, di conseguenza, fratello dei propri figli. Spesso però, soprattutto quando la giovane famiglia è pressata dal bisogno e dagli impegni lavorativi, l’aiuto dei nonni diventa una richiesta esigente e incondizionata. I ricatti affettivi possono diventare pesantissimi, come quando un’avvocatessa in carriera afferma, rispetto ai nonni paterni: “se non mi tengono il bambino non lo vedono più”. La misura della disponibilità dovrebbe essere il piacere di stare con i nipoti ma mi rendo conto che spesso, soprattutto nelle famiglie meno abbienti, applicare questa clausola è impossibile. Si vedono pertanto nonni (soprattutto nonne) distrutti dall’obbligo di accudire nipoti di varie età, con esigenze diverse e orari che si sovrappongono.
E’ ingiusto che dopo una vita spesa in lavori usuranti non possa far seguito un meritato riposo. Ma la diseguaglianza economica, l’iniqua distribuzione delle risorse e l’inadeguatezza dei servizi sociali rispetto alle esigenze delle madri, rendono queste situazioni attualmente inevitabili. Per fortuna così come accade per i genitori, anche per i nonni la tradizionale contrapposizione tra polo maschile e femminile si è risolta in una convergenza al centro, in una zona mista, paterna e materna, dove le funzioni di accudimento dei nipoti vengono per lo più condivise.
Anche se, come documenta l’infant – observation, il modo di fare le stesse cose resta diverso tra uomini e donne. Poiché la nostra società è caratterizzata da una spinta ad affermare i “Diritti individuali” rispetto a quelli collettivi, che riguardano la famiglia, il comune, il sindacato, la Chiesa e lo Stato, è ora possibile che le donne, che si sono sempre pensate in funzione della famiglia, affermino la priorità delle proprie esigenze rispetto a quelle degli altri. Lo fanno le madri, a maggior ragione le nonne.
Non so se libri, come quello di Elena Rosci “La maternità può attendere- Perché si può essere donne senza essere madri”, del 2013 e “Senza figli. Una condizione umana” Duccio Demetrio e Francesca Rigotti del 2012, avrebbero potuto essere scritti nel secolo scorso, mentre ora interpretano l’esigenza diffusa di relativizzare l’esser madre: una condizione possibile, forse auspicabile, ma non necessaria.
Lo scorso anno è stata pubblicata, in Israele, una serie d’ interviste ove le madri si dichiaravano pentite di aver messo al mondo un figlio. Non so se questo sarebbe possibile in Italia, un paese ancora influenzato da una concezione cattolica che, attraverso il mito di Maria Vergine, idealizza la maternità. Ma quello che è ancora in discussione per la maternità non lo è più per la nonnità. E’ ora possibile che una nonna si esoneri, senza dubbi e rimorsi, dall’essere tale.
Ascoltiamo in proposito quanto afferma Mara, nonna di otto nipoti, evocando le stagioni della vita:
“sei figlia, sei adolescente, il tuo corpo si prepara finché diventi madre e così inizia un lungo periodo della tua esistenza in cui ti occupi di piccole vite che non sono tue, ma ti sono affidate; le guardi crescere, le segui a breve distanza, cerchi di non dimenticarti del mondo intorno a te, ma di fatto per due decenni tu giri intorno a loro. Ti succedono altre cose, riguardo al tuo corpo, alla tua coppia, al tuo rapporto con il lavoro e con te stessa. Non sempre hai il tempo di capirle bene, ma un bel giorno, anche l’ultimo della nidiata se ne va e per te inizia un’altra era. Quello a cui non hai avuto tempo di pensare prima, di comprendere e elaborare, ora ti viene voglia di approfondirlo. Non tutti hanno avuto la fortuna di viaggiare, lavorare, coltivare i propri passatempi preferiti mentre c’erano la casa e la famiglia da tirare avanti; c’è chi come me comincia proprio a sessant’anni.”
Mara non è scomparsa per i suoi figli, non si nega quando c’è un’emergenza. Ma di fare la nonna con impegni fissi, con senso del dovere, non se ne parla.
“Se hanno deciso di essere madri e padri, precisa, i suoi figli sapevano quello che facevano. I bambini sono di una coppia, così come il modo di educare e i valori da trasmettere riguardano in modo molto intimo i genitori”.
Mara gli ha dato tutto il suo amore e continua a darglielo, ma ci sono cose molto importanti che vuole vivere adesso. L’essenziale è che stiano bene e vorrebbe che anche per loro fosse bello vedere la loro mamma felice, gioiosa, realizzata, in pace con la sua età. Ma non riescono a capirla fino in fondo. Mara sente che c’è un rammarico da qualche parte e non riesce a parlarne infamiglia, anche se sa che sta facendo la cosa giusta, che non può sforzarsi di stare a casa e fare la torta o le passeggiate con i suoi nipoti, perché diventerebbe un tempo pieno e ad agire controvoglia non si fa del bene a nessuno. Gioca, nel rapporto dei nonni coi figli, il timore di essere abbandonati nel momento del bisogno, di non avere nessuno accanto quando si avvicina l’ora di tutti. Poiché da vecchi, da molto vecchi, si sperimenta ancora una volta la dipendenza infantile, la disponibilità dei nonni, soprattutto quella della nonna, subisce un tacito ricatto da parte dei figli: se ora tu non aiuti me, domani io non aiuterò te.
Mentre gli uomini cercano spesso di acquisire meriti promettendo più o meno rilevanti lasciti ereditari (“un giorno, caro figlio, tutto questo sarà tuo”) le madri si sforzano di meritare la benevolenza delle figlie offrendo loro, una volta diventate nonne, una disponibilità illimitata. Ma questa presunzione di onnipotenza ottiene sovente il risultato contrario perché ogni eccezione le sarà imputata come tradimento a un patto che non comporta varianti.
E la nonna che può tutto diverrà in un attimo la nonna che non può niente. Il segreto di buone relazioni familiari consiste nel riconoscere limiti alla propria disponibilità e di contrattarli con i figli. Ma è difficile in una cultura ove la maternità, e di conseguenza la nonnità, è stata declinata nel segno del sacrificio di sé, della generosità incondizionata, della santità. Solo accettando l’imperfezione, i limiti, le inadempienze, è possibile, come accade ora, far coesistere le richieste della famiglia, delle attività extradomestiche, della cura di sé e del piacere, senza sentirsi inadeguate e depresse.
Nulla dispiace ai nipoti quanto una nonna che non sa giocare, fantasticare, sorridere, tentare, sbagliare, divertirsi e alla fine ammettere di esser stanca. I più piccoli non si rendono conto della nostra età, considerandoci coetanei ci esortano a correre, saltare, tirar calci al pallone. Accanto a un bambino che cresce non c’è posto per la vecchiaia. Ma anche noi nonni siamo complici di questa negazione: a esser vecchi sono sempre gli altri.
Vale, soprattutto per noi donne (gli uomini sono più realistici) una presunzione di giovinezza che ci aiuta a contrastare l’inesorabile avanzata degli anni. E’ nello spazio dell’illusione che ci sentiamo quelle di un tempo. Ma entro certi limiti l’illusione costituisce un ammortizzatore rispetto alle asperità della vita.
di Silvia Vegetti Finzi- Incontro presso Donne In