Negli ultimi venti anni del XX secolo, l’interesse per la storia delle donne, nato come effetto del femminismo, ha portato a riscoprire il contributo all’arte, alla letteratura e alla scienza di molte donne del passato e ha fornito nuove chiavi di lettura delle loro biografie. Questo vale anche per la bolognese Laura Bassi, studiosa e docente di fisica. La sua storia singolare la rese famosa nell’Europa del suo tempo ed è ancora oggi interessante. Le cronache e le biografie settecentesche e ottocentesche insistono oltre che sulle sue doti intellettuali e sul suo sapere, ritenuti “eccezionali per una donna”, sugli straordinari onori da lei ricevuti.
Certo nel secolo dei Lumi, soprattutto negli strati più alti della società, l’atteggiamento verso l’istruzione femminile e la partecipazione delle donne alla vita sociale era decisamente migliorato rispetto al secolo precedente. Anche in Italia, oltre che in Francia, erano sorti salotti culturali, come quello di Clelia Borromeo a Milano e quello della principessa di Colubrano, Faustina Pignatelli, a Napoli, in cui si discuteva, oltre che di letteratura, anche di scienza. Ma le istituzioni ufficiali destinate all’elaborazione e alla trasmissione dell’alta cultura, cioè le università e le accademie, rimanevano chiuse al sesso femminile. Le donne, di qualunque classe sociale, non avevano quindi la possibilità di seguire un regolare corso di studi, di conseguire un titolo universitario, di esercitare una professione intellettuale, di insegnare. Soltanto dopo la metà dell’Ottocento alcune università europee cominciarono ad accettare l’iscrizione di studentesse. Le grandi accademie scientifiche dell’Europa rimasero monopolio maschile fino a tempi ancor più recenti: la Royal Society di Londra ha nominato le prime socie nel 1946, mentre l’Académie des sciences di Parigi ha aspettato addirittura gli anni Ottanta del Novecento.
In questo panorama di imperante discriminazione, la laurea in filosofia concessa nel 1732 a Laura Bassi dall’Università di Bologna è da considerare il primo significativo segno di tendenza. È vero che già nel 1678 l’Università di Padova aveva laureato, sempre in filosofia, una giovane nobildonna veneziana, Elena Cornaro Piscopia, ma l’episodio era rimasto senza seguito. Invece il senato bolognese, oltre al titolo dottorale, assegnò a Laura bassi una cattedra in filosofia.
Si trattò di un incarico retribuito (500 lire bolognesi l’anno, corrispondenti allo stipendio medio di un lettore universitario), anche se “a causa del suo sesso”, la neo-lettrice era tenuta a far lezione solo in particolari solenni occasioni, su comando dei “superiori”. Sempre nello stesso anno la giovane dottoressa ricevette altri onori inusuali per una donna, come la nomina a membro dell’Accademia delle Scienze di Bologna e l’aggregazione al collegio dei dottori di filosofia. L’intenzione del senato bolognese e del suo principale ispiratore, l’arcivescovo Prospero Lambertini futuro Papa Benedetto XIV, non era certo, è opportuno ricordarlo, quella di aprire l’università e l’accademia al sesso femminile in generale. Essi puntavano anzi sul carattere straordinario, per una donna, delle doti intellettuali e del sapere della giovane Bassi, vera e propria incarnazione di Minerva, per attirare l’attenzione del pubblico europeo su Bologna e rinverdire la fama, piuttosto appannata, delle sue istituzioni culturali. Nello stesso tempo intendevano riallacciarsi alla tradizione cittadina, in parte leggendaria, secondo la quale nello Studio bolognese medioevale avevano insegnato anche alcune donne, figlie e mogli di professori.
In effetti tutti questi eventi fecero di Laura Bassi e di Bologna un’eccezione assoluta in Europa dove, come si è visto, le università e le accademie continuavano ad essere mondi esclusivamente maschili, luoghi da cui le donne erano escluse, come studenti e come docenti. I viaggiatori del grand tour non si fermavano più a Bologna solo per vedere i dipinti di Guido Reni, dei Carracci e del Guercino, ma per discutere di filosofia naturale con la dottoressa Bassi. Dal punto di vista dell’immagine della città, il successo dell’operazione fu tale che nei due decenni seguenti venne ripetuta varie volte. Diverse donne di grande prestigio (Faustina Pignatelli, Emilie du Chatelet, Maria Gaetana Agnesi, Anne Marie du Boccage) furono nominate socie dell’accademia bolognese. Alla Agnesi, giovane matematica milanese, venne offerta anche una cattedra di geometria analitica nell’università. Erano però tutte donne lontane da Bologna e i loro incarichi rimasero puramente onorifici.
Le cose andarono diversamente per Laura Bassi. Inizialmente la giovane dottoressa svolse con diligenza il ruolo di Minerva bolognese, ma ben presto cominciò a manifestare la sua indipendenza e la volontà di occupare uno spazio autonomo nel panorama intellettuale e accademico della città: si ribellò al suo primo maestro, troppo tradizionalista, e cominciò a studiare la fisica newtoniana e il calcolo differenziale sotto la guida di altri; riuscì ad ottenere un posto, sia pure in soprannumero, nella nuova classe degli accademici Benedettini istituita da papa Lambertini; sposò il medico e accademico Giuseppe Veratti, senza curarsi della disapprovazione di chi riteneva incompatibili studi femminili e matrimonio; lottò perché la sua lettura universitaria diventasse effettiva, con diritti e doveri uguali a quelli dei suoi colleghi uomini. Soprattutto, anche con la decisiva collaborazione del marito, allestì nella casa coniugale un laboratorio fisico e nel 1749 aprì una scuola privata di fisica sperimentale che attirò molti studenti, tanto che il senato ne riconobbe l’utilità pubblica e le assegnò un considerevole aumento di stipendio. Tra i suoi primi allievi troviamo il grande naturalista Lazzaro Spallanzani, che era un suo lontano parente e per tutta la vita manifestò grande riconoscenza e rispetto per la sua “venerata maestra”.
L’attività di ricerca di Laura Bassi, in settori che spaziavano dalla meccanica razionale, alla dinamica dei fluidi, alla fisica elettrica, alla chimica dei gas, si svolse tutta nell’ambito dell’Istituto bolognese delle scienze, la prestigiosa istituzione scientifica pubblica fondata all’inizio del Settecento da Luigi Ferdinando Marsili. I pochi suoi scritti espressamente scientifici giunti fino a noi sono infatti alcune delle relazioni da lei presentate annualmente nelle sedute dell’Accademia delle Scienze. Ma la fonte che meglio ci permette di comprendere il ruolo di animatrice e di mediatrice da lei svolto nell’ambito della comunità scientifica bolognese e “ forestiera” è il suo ricco epistolario, solo in parte pubblicato, che documenta l’ampia rete di relazioni da lei intessuta con scienziati italiani e stranieri. La sua fama e il suo prestigio come docente e ricercatrice andarono sempre più consolidandosi e nel 1776, due anni prima della morte, il senato le assegnò il posto di professore di fisica sperimentale nell’Istituto delle scienze, questa volta senza nessuna limitazione dovuta al suo sesso. La carriera universitaria e accademica di Laura Bassi, da lei costruita con grande forza di volontà e lucida determinazione, mettendo a frutto anche appoggi potenti (in primo luogo quello del Papa) è un caso unico nell’Europa del Settecento, in cui come si è detto, le donne erano rigorosamente escluse dai luoghi istituzionali della cultura. È vero che ci furono altre lauree femminili (due in Germania e tre in Italia), dovute anche al desiderio di emulare l’archetipo bolognese, coltivato da ragazze ambiziose e soprattutto dai loro padri e precettori, ma nessuna di queste laureate raggiunse nella comunità scientifica la fama e l’autorevolezza della “filosofessa” bolognese. Una parziale eccezione è rappresentata da Anna Morandi, che, sempre nella Bologna settecentesca e sempre grazie alla illuminata protezione di Benedetto XIV, ebbe un incarico didattico nell’università come dimostratrice anatomica, e divenne famosa in Europa come abilissima modellatrice di cere anatomiche. Ma la Morandi, che aveva appreso l’arte della ceroplastica e anatomia dal marito Giovanni Manzolini, non fu insignita della laurea e degli onori riservati a Laura Bassi e svolse un ruolo più marginale (ma non meno affascinante), ai confini tra arte e scienza. Tuttavia il suo caso, quello di Cristina Roccati, la giovane aristocratica di Rovigo che nel 1751 ottenne nello Studio bolognese la laurea in filosofia, e più tardi quelli di Clotilde Tambroni, che negli ultimi anni dell’ancien régime e nel periodo napoleonico tenne una cattedra di greco e di Maria Delle Donne, che nel 1799 conseguì la laurea in medicina, indicano che l’esempio di Laura Bassi non era rimasto senza seguito. Forse al di là delle intenzioni delle autorità pontificie e cittadine, cui spetta comunque il merito di aver prima di tutti promosso lauree e cattedre femminili, la più antica università d’Europa già nel Settecento era percepita come una istituzione aperta, sia pure solo in casi eccezionali, alle donne.
Occorrerà aspettare la fine dell’Ottocento perché a Bologna, come in un numero crescente di università europee, cominciasse a essere riconosciuto a tutte le donne il diritto di iscriversi, frequentare, laurearsi, e perfino insegnare, allo stesso modo degli uomini.
A cura di Marta Cavazza, Storica della Scienza Università di Bologna
Tratto da Donne e Scienza, Pari e Dispari, 2001.